Quantcast
Channel: spezzandolemanettedellamente
Viewing all 110 articles
Browse latest View live

Piccolo Festival delle Dieci Notti - Invito alla Lettura (e all'Ascolto)

$
0
0
La locandina  dell'evento firmata da Lucio Villani

L'idea è di una nostra vecchia conoscenza: quel poliedrico artista che risponde al nome di Lucio Villani (illustratore sopraffino e forse ancor più valido musicista) col quale (assieme a Lorenzo Ceccotti, Mariachiara Di Giorgio e altri nomi gloriosi) negli ultimi scampoli del millennio scorso fummo creatori di Lampi Grevi, fanzine dalla vita effimera quanto memorabile (in seguito con Daniele Catalli e Vania Castelfranchi darà vita alla più longevaKrakatoa).
Ed è proprio il tipo di idee che ci piacciono: una serie di dieci serate dedicate alla letteratura (dieci grandi autori, dieci classici contemporanei), unite dal filo rosso della musica blues.
La seconda edizione della manifestazione verrà strutturata nel seguente modo: per dieci notti, Michele Botrugno leggerà brani di letteratura selezionati da Alessandro Carbone, che introdurrà brevemente ciascuna lettura.
Dieci letture che intendono esplorare "il senso della visione" di autori celebri, tra i quali alcuni dei nostri prediletti (Cèline, Flaiano), altri che abbiamo abbandonato nella prima adolescenza (Bukowski, Benni), altri di cui apprezziamo l'alto valore letterario ma non innalziamo sugli altari del nostro pantheon (Calvino, Hemingway).

A seguito del primo momento letterario, si darà spazio alla musica.
Il cartellone offre interessanti spunti per chi è attento a fermenti musicali autentici e non si limita a ingurgitare auditivamente ciò che ci propinano le radio di musica leggera, avamposti sonori del Male:  The Hay Bale Stompers, Lino Muoio Mandolin Blues, Kozmic Blues, The Red Wagons, Rico Blues Combo, Veronica Sbergia in duo con Max De Bernardi, Alberto Marsico & Organ Logistics, River Blonde, Sax Gordon & Luca Giordano band, Marco Pandolfi e Roberto Luti, con una doppia incursione di Giulia Ananìa e il suo progetto REM – Rome Emotional Map.  Le danze sono state aperte da Simone Nobile and his Jukes, mentre non mancherà l'Orchestra Cocò, di cui Villani è voce e contrabbasso.
Il tutto culminerà con un grande, doveroso omaggio a quel donatore universale di gioia e allegrezza che fu Django Reinhardt, tributato da The Philosophists, con special guest Daniel John Martin.


Certo, queste dieci notti non hanno la sacralità del Navaratri (nell'induismo, le nove notti di adorazione della Dea Durga, più la decima in qui si celebra il trionfo sui demoni da Lei distrutti), ma nelle pigre notti di fine Luglio comunque rappresentano un'attrattiva, anche per il luogo che le ospita.


Da oggi 26 Luglio al 4 Agosto, con la preziosa coda del post-Festival fino al 7, si potrà vivere la bellezza del Lungotevere che conduce alla Basilica di S.Pietro celebrando un piccolo ma vero Giubileo, quello della Cultura, contrapposto a quello di una falsa Misericordia che ha impedito di gioire dei giardini di Castel S.Angelo, spazio storico della manifestazione Invito alla Lettura.


L'iniziativa è, appunto, promossa dalla Federazione Italiana Invito alla Lettura.
Un invito che fin dalla più tenera età non abbiamo mai rifiutato.

P.S.
Se volete approfondire l'arte di Lucio Villani trovate un saggio della sua arguzia QUI
Se volete studiarvi l'intero programma dell'iniziativa lo trovate QUI

7 letture estive, spensierate ma non troppo

$
0
0
La Long Room nella biblioteca della Trinity College di Dublino: quella di Harry Potter
L'estate, si sa, è tempo di letture: finalmente possiamo goderci quei tomi che nel corso dell'anno si sono accumulati fino a configurare una pila sbilenca e pericolante accanto al comodino.
Certo, sotto l'ombrellone portarsi l'Ulisse di Joyce o L'Uomo senza qualità di Musil parrebbe una risibile velleità da fanfaroni (chi scrive lo ha fatto, candidamente impegnato nella lettura), eppure confidiamo che i frequentatori (mi si dice che da venticinque forse son giunti al vertiginoso numero di trenta) di queste deliranti colonne giammai si chinerebbero ai dettami delle classifiche da Tv, Sorrisi e Canzoni.

Ecco, dunque, una lista ispirata ad un onorevole spirito di compromesso.
Si tratta di libri di qualità, di apprezzabile divulgazione, ben scritti, dai toni ironici e tendenti alla leggerezza: dunque, dopo avervi consigliato per un anno testi esoterici e opere di seria riflessione, indubbiamente si virerà verso un registro meno impegnativo.
Ma comunque tenendo sempre alta la fiamma vitale dell'intelligenza e dello stile.

Ecco a voi: sette letture estive, spensierate ma non troppo.


1) Il Libro Infame di Gianluca Nicoletti, illustrato da Roberto Ronchi (Tunué)
Gianluca Nicoletti è volto ma soprattutto voce nota, per la sua vasta attività giornalistica (attualmente seguito speaker di Radio24).
Nicoletti ha una prosa rapida, forbita e insieme scollacciata, ricca di arguzie, schiava felice di doppi sensi carnascialeschi.
Il libro è a tratti divertentissimo, nel suo essere una ricostruzione adorabilmente egocentrica della storia personale dell'Italia attraverso la vita dell'autore, entrambe raccontate, in pieno spirito pop/camp, attraverso gli aspetti più kitsch del quotidiano del dopoguerra: dagli inquietanti manifesti delle pubblicità progresso che esponevano disegni dei "mutilatini" per scoraggiare i bambini a giocare con le mine inesplose al catalogo Postalmarket quale deposito di fantasie erotiche per un'intera generazione, fino all'ossessione mcluhaniana per l'irruzione delle nuove tecnologie nella nostra vita.
L'autore concede, prevedibilmente, molto spazio alla sua particolare manìa di sollevare le donne (eh, si, avete letto bene), con significato filosofico annesso, indulge forse in maniera eccessiva su certo libero pensiero figlio degli anni'70, ci sorprende con dotte incursioni nella letteratura esoterico-fantastica, ci delizia dando il giusto ruolo iconico a Ranxerox.
Le illustrazioni di Ronchi danno corpo all'immaginazione goliardica di Nicoletti, percorsa ossessivamente da un gusto quasi adolescenziale per lo spirito fescennino.
Spassoso e non banale.



2) È ricca, la sposo e l'ammazzo di Jack Ritchie (Marcos y Marcos)
Anche se il  nome di Jack Ritchie forse non vi dice nulla, in realtà avete benissimo in mente l'atmosfera delle sue creazioni.
Avete presente quella peculiare dimensione stilistica sospesa tra umorismo elegante, cinismo feroce e tensione criminale tipica degli episodi televisivi della serie Alfred Hitchcock presenta?
Basti pensare che molti di quei piccoli capolavori di thriller sardonico sono ispirati proprio a racconti di Richie. Un maestro del racconto breve, brevissimo, padroneggiato con sapienza assoluta: abile in poche pagine a calare il lettore in una tensione intollerabile per poi, puntualmente, truffarlo con un capovolgimento finale inatteso. Ciascuno dei brevi racconti presenti in questa raccolta è una testimonianza della formula perfetta trovata da Ritchie: leggerli è come trovarsi davanti a un cantastorie sadico che ci racconta una storia dell'orrore con i tempi comici di una barzelletta, lasciando a noi la scelta se urlare di terrore o scoppiare a ridere.
Campione della miniatura, eccellente nella gestione della tensione, Ritchie ha fatto della brevità, e dell'ironia, veri e propri pilastri della sua poetica: "Non c’è romanzo che non si possa migliorare trasformandolo in un racconto breve: nelle mie mani, I Miserabili sarebbe diventato un pamphlet".
Il racconto che dà il titolo al libro ha ispirato il celebre film omonimo con Elane May e Walter Matthau.
Magistralmente cinico.


3) L'inaspettata eredità dell'ispettore Chopra di Vaseem Khan (Newton Compton)
Tutt'altra atmosfera quella del giallo ambientato a Mumbai di cui stiamo per parlarvi. Non la Mumbai mistica, criminale, psichedelica e infernale di Shantaram (imperdibile libro autobiografico di Gregory David Roberts), ma comunque realistica, resa, per quanto possibile, nella sua unicità di macrocosmo cangiante ed oceanico, in cui centinaia di migliaia di persone brulicano tra miseria e successo, in una "disperata vitalità" tipicamente indiana che non a caso affascinò Pasolini nel suo primo viaggio del 1961 (narrato appunto ne L'odore dell'India).
L'ispettore Chopra, virtuoso e saggio, appena giunto alla meritata pensione, riceve in dono un  regalo, per quanto piccolo, necessariamente ingombrante,: un elefante.
 Tanto per fugare ogni dubbio, viene ribattezzato Ganesha: il Dio dell'Innocenza e della Saggezza.
Le qualità interiori che lo guideranno, come una magica protezione, in una discesa improvvisa e pericolosa nelle viscere degli slum. C'è qualcosa di commovente in questo vecchio ispettore, ormai libero da vincoli e impegni, che continua a rischiare la vita per mantenere la promessa di giustizia giurata ad una madre davanti al cadavere del figlio.
La nostra discreta conoscenza della cultura indiana ci ha consentito di cogliere tutti i riferimenti, i giochi di parole e le sfumature del libro nelle sue mille referenze, forse un glossarietto o delle note esplicative potrebbero aiutare un lettore meno avvezzo a mantra e ricette del Maharastra.
Una lettura in grado di essere positiva senza essere stucchevole.


4) Il Principe Rosso di Timothy Snyder (Rizzoli)
Questo è davvero un bel libro.
Sarebbe senza dubbio piaciuto ad Hugo Pratt. La figura dell'Arciduca Guglielmo D'Asburgo, infatti, bisessuale e socialista discendente della famiglia reale che aveva regnato su mezza Europa, ormai in decadenza, sembra proprio quella di un personaggio incontrato da Corto Maltese nelle sue avventure rocambolesche, tra pirati e massoni (non a caso pare che l'eroe di Pratt sia ispirato ad un altro discendente della casata, Luigi Salvatore d'Asburgo-Lorena).
Il bellissimo e carismatico Arciduca ha attraversato il primo Novecento col fascino di un eroe byroniano, diviso tra lignaggio e ideale, volontà e destino, ambizione e fortuna avversa.
Forte della sua dignità nobile, con fierezza l'Arciduca sfidò sia Hitler che Stalin, ma purtroppo terminerà la sua vita, dopo averla dedicata al sogno di un'Ucraina indipendente, deportato in una cella sovietica, stroncato dalla tubercolosi.
Una vicenda così affascinante non poteva non sedurre Snyder, docente di Storia a Yale, in grado di architettare un racconto avvincente e documentatissimo, che a tratti evoca la dotta prosa di Robert Darnton più che quella accattivante di Valerio Massimo Manfredi.
Splendido e conturbante.


5) Da quassù la terra è bellissima di Toni Bruno (Bao)
Provocatoriamente, inserisco un fumetto serio tra letture, solo apparentemente, spensierate, tanto per burlarmi degli stereotipi.
Davvero significativo il salto di maturità che Toni Bruno ha effettuato dalle sue pur valide prove precedenti (dedicate a temi delicati quali la morte di Stefano Cucchi e la parabola di Kurt Cobain).
Il libro è davvero raccontato bene, evitando le insidiose trappole di una narrazione codificata da 60 anni di film e romanzi: la tensione globale, individuale e collettiva, ingenerata dalla Guerra Fredda.
Bruno concilia una narrazione spontanea, disinvolta, giocosa con la drammaticità del tema: l'eroe sovietico della conquista dello spazio (ovviamente ispirato a Gagarin, a cui dobbiamo la citazione del titolo) è entrato in crisi ansioso-depressiva. Dal suo stato d'animo deriva la gloria di un intero paese, forse la stabilità degli equilibri politici internazionali. Dovrà ricorrere alle cure di uno psicoterapeuta...americano.
Ecco, uno spunto così poteva risolversi in macchietta o apologo buonista in poche tavole. Invece, Bruno riesce, grazie soprattutto ad un'attenta regia e ad una buona capacità di introspezione psicologica, a rendere tutto plausibile, convincente, persino toccante.
Una riuscita riflessione sul potere dell'empatia.
Uno dei migliori fumetti del 2016.


6) Il Libro dei Viaggi nel Tempo di James Wyllie, Johnny Acton e David Goldblatt (Newton Compton)
Abbiamo già citato il nostro adorato Robert Darnton, un campione della divulgazione storica.
Se in parte Timothy Snyder aveva ricordato la passione per gli angoli più oscuri e illuminanti della storia, i tre autori di questo delizioso ed inusuale testo storico possono essere accostati all'altro lato della sua coltissima opera di scavo storiografico: il gusto divertito per la curiosità, il paradosso, l'approccio imprevedibile all'oceano di conoscenza imponderabile del cammino umano.
Con la cornice giocosa del viaggio temporale, siamo condotti in momenti cruciali o altamente significativi della storia umana. Il talento degli autori è tutto nel calarci interamente nel quotidiano di quei momenti, maniacalmente ricostruito, con dilettevole attenzione ai particolari (i biglietti dei mezzi pubblici, l'abbigliamento, le condizioni climatiche, i posti dove spendere meno e mangiare meglio). Diciotto mini-guide turistiche per diciotto momenti sparsi nel grande libro degli errori umani, pietre miliari della nostra incerta evoluzione: dal debutto di Shakespeare al Golden Globe a Woodstock, dall'eruzione del Vesuvio all'arrivo di Marco Polo a Xanadu, dai concerti dei Beatles ad Amburgo risalendo alla prima spedizione di Captain Cook.
Certo, la selezione è eurocentrica e con una predilezione spiccata per la contemporaneità.
Avremmo apprezzato un salto alla corte di Ashoka o di Re Janaka, una conversazione con Confucio o Socrate, una sessione di preghiera con Guru Nanak o Rumi, anche solo una serata nel palazzo imperiale di Akbar.
Ma, comunque, apprezziamo l'approccio disinvolto e attento ai singoli episodi, consapevoli dell'impossibilità di abbracciare l'immenso corpo sfuggente del divenire storico.
Stimolante e istruttivo.

 

7) L'Enigma dell'Alfiere di S.S.Van Dine (Barbera Editore)
In realtà avrei potrei suggerire qualsiasi libro scritto da Willard Huntington Wright (questo il vero nome dello scrittore e critico d'arte) che abbia come protagonista l'incantevole egomaniaco Philo Vance. Come spesso nella storia, dobbiamo rendere grazie a un incidente: Wright era un importante intellettuale, autore di una imponente monografia su Nietzsche, direttore della rivista Smart Set , sulla quale pubblicavano autori del calibro di Ezra Pound, Yeats e Conrad (perfino D'annunzio!), quando una devastante crisi di nervi indusse il medico curante a suggerirgli di dedicarsi a una forma più leggera di letture: i libri gialli. Con la sua forma mentis geniale, Wright divenne subito un esperto enciclopedico del genere, scrisse un saggio esaustivo sul genere detective story, ma soprattutto divenne S.S. Van Dine (le iniziali riprese dall'adorata rivista menzionata, il cognome un'allusione a Van Dyck), il padre della per noi fraterna figura di Philo Vance.
Come tutti i maestri, iniziò uccidendo con rispetto il proprio: tutti i romanzi di Van Dine capovolgono il metodo induttivo dell'amato Sherlock Holmes. Ciò che appare evidente a una prima indagine è palesemente un inganno. La verità va ricercata nei dettagli minimi, spesso nelle pieghe nascoste della vicenda, seguendo percorsi apparentemente irrazionali o paradossali, ma in realtà guidati da una impeccabile logica deduttiva. Un insegnamento filosofico, prima che investigativo.
Se un giorno fossimo affrancati per benedizione superna dal giogo della necessità, ebbene, desidereremmo passare il nostro tempo cullati dall'ipnotica logorrea di Philo Vance, l'elegantissimo, coltissimo, sarcastico e sprezzante protagonista, rigorosamente credente solo nel potere inesorabile della logica, e proprio per questo consapevole dei suoi limiti invalicabili. Un maestro di cinismo colmo di tenerezza per i bambini e gli animali (come ricorda in QUESTO bel pezzo Edoardo Ripari) magnificamente descritto dall'autore: "Aristocratico per nascita e istinto, teneva se stesso rigorosamente distaccato dal mondo in cui vivono le persone comuni. Nel suo modo di fare era presente un’indefinibile forma di disprezzo per l’inferiorità in qualsiasi sua manifestazione".
Descrizione tratta da La Strana Morte del Signor Benson.
Confessiamo che anni fa ci accostammo al libro solo perché divertiti dal libro, pensando a ben altro omonimo.


Così la Grazia si manifesta, per le vie più ilari e meno protocollari.
Più che un libro, uno dei piaceri assoluti dell'esistenza.

Buona Lettura!

15 anni dopo Genova 2001, il problema è l'estintore. Non la tortura di massa.

$
0
0

La foto che mostra le reali distanze e la dinamica antecedente all'omicidio
La settimana del quindicesimo anniversario dai tragici fatti di Genova 2001 è stata scandita da una serie di avvenimenti così sardonicamente puntuali da apparire ben più che coincidenze significative.
Come abbiamo notato su minimaetmoralia, è iniziata con una beffa: l'agente che mentì sostenendo di essere stato accoltellato da un no-global (quale giustificazione per le violenze della Diaz) è stato condannato ad un’ammenda equivalente a 47 euro. Un Ufficiale dello Stato può mentire su una tortura di massa operata dalle Forze dell’Ordine, per un costo inferiore a quello di una prestazione sessuale mercenaria.
Poi, c'è stata la nuova assoluzione per i cinque medici accusati di essere responsabili della morte di Stefano Cucchi, la foto del cui cadavere grida ancora giustizia.
Con magistrale tempismo, il Senato ha sospeso l'esame del disegno di legge per configurare il reato di tortura, smentendo clamorosamente le promesse del Premier nei suoi roboanti annunci su Twitter, e in completo disprezzo della condanna della Corte Europea di Strasburgo nei confronti dell'Italia (proprio per le torture commesse durante il G8 di Genova 2001).
Inoltre, Facebook ha sospeso per un giorno la pagina del fumettista Zerocalcare, dove egli semplicemente dichiarava di partecipare ad un evento in memoria di Carlo Giuliani e in solidarietà di chi fu arrestato in quei giorni; l'autore, con saggezza, ha subito stemperato la retorica anticensura: si tratta di un meccanismo automatico, attivato dalle segnalazioni in massa da parte di ambienti vicini alle Forze dell'Ordine.
Esponenti di ambienti simili (sindacati di polizia, giornalisti e politici del Centro-Destra) si sono riuniti nel l'anniversario della scomparsa di Giuliani, per un convegno dal titolo garbatamente spiritoso: "L'estintore quale strumento di pace".
Un chiaro caso di dissonanza cognitiva: le stesse persone che condannano le violenze di Erdogan per giustificare la chiusura contro gli islamici e i profughi, giustificano le violenze della Diaz solo perché inflitte dalle Forze dell'Ordine.
In tutto questo, nei dibattiti sui social è ricorso assordante il monito: "Eh, si, però Giuliani aveva in mano un estintore".
Si. Un estintore raccolto dopo due ore di cariche ingiustificate della polizia nei confronti di un corteo autorizzato e pacifico (Il documentario La Trappola lo spiega bene, vi prego di guardarlo, lo trovate QUI).
Ho passato una settimana a discutere sui social network su questo punto.
Gli orrendi e stupidi sulla pagina di Zerocalcare (del resto, si sa, Pazienza era andreottiano!)
Sono stato anche fortunato (a differenza di Zerocalcare, per esempio), mi sono confrontato con molte persone civili (anche un allora ufficiale dei Carabinieri presente quel giorno a Genova) ed anche nei momenti di maggiore distanza d'opinione si è sempre mantenuto un tono rispettoso e pacato, avendo come faro la definizione di una verità comune, non l'appartenenza a fazioni da stadio.
Molte persone (ragionevoli, progressiste, informate, indignate) hanno sottolineato come, mentre la violenza e l'orrore della "macelleria messicana" della Diaz e di Bolzaneto sono ormai argomenti (si fa per dire) pacifici, le dinamiche della morte di Giuliani sono ancora controverse.
Dunque, secondo loro, nella ricostruzione di una verità da opporre alla versione ufficiale imposta alla "maggioranza silenziosa", bisognerebbe concentrare le denunce sulle violenze successive, per rendere la follia di quei giorni, non dibattere su una tragica fatalità, in cui comunque il ragazzo "se l'è cercata".
Per queste persone parlare della morte di Giuliani non è un argomento vincente per rendere l'ingiustizia che un'intera generazione ha subito.
Eh, del resto, Giuliani aveva in mano un estintore.
Ho insistito metodicamente (c'è chi generosamente ha lodato la mia pazienza): proprio perché le dinamiche appaiono tuttora controverse (mentre sono chiare, se uno approfondisce, e completamente differenti dalla vulgata mediatica), bisogna insistere a parlarne. Bisogna insistere nel decostruire pazientemente la narrazione tossica che fu machiavellicamente confezionata in quei giorni ad uso delle masse per far passare il messaggio che sì, un ragazzo poverino è morto, ma era un facinoroso che aveva assaltato una camionetta, "se l'è andata a cercare".
Proprio questo è il (falso) pilastro argomentativo su cui si fonda la manipolazione sistematica di quei giorni: "si, la Diaz fu una vergogna, una reazione esagerata, la morte di Giuliani invece fu un caso separato, una tragica fatalità, vedete, quel movimento era fatto di giovani teppisti che assaltavano i poliziotti. E ti credo, poi, che scappa il morto".
Rimane, nell'eco spenta dell'opinione pubblica, un ragazzo morto per sbaglio, che comunque se l'era cercata, e una reazione eccessiva delle Forze dell'Ordine.

Eh, del resto, aveva in mano un estintore.
Come se questo giustificasse “la più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale", secondo la celebre definizione di Amnesty International.
Vorrei ricordare che negli ultimi quarant'anni molti politici di spicco, alcuni dei quali sono stati ministri (anche vicini a quel Governo del 2001) o sindaci, all'età di Giuliani tiravano molotov o erano coinvolti in attività politica extraparlamentare, protagonisti degli anni di peggiore violenza politica in Italia.
Alcuni dei politici che oggi fanno la morale ai manifestanti "teppisti", da giovani erano vicini ad ambienti prossimi all'eversione.
Parliamo di pestaggi, spari, bombe. Altro che estintori.
Soprattutto, vale la pena di ricordare come la morte di Giuliani non sia stata causata dallo sparo attribuito a Placanica, ma dal Defender che lo investì subito dopo, senza menzionare il sasso che gli venne schiacciato in faccia per comprovare l'urlo immediato del vicequestore, il quale tentò di attribuire la colpa dell'omicidio a un manifestante.
Ma torniamo al vero grande problema che inquieta le coscienze italiche da tre lustri, il gesto gravissimo e intollerabile: Giuliani aveva un estintore in mano.
Questo dato inoppugnabile viene sempre riproposto come argomento principe, in ricostruzioni ossessive che però ignorano un piccolo dettaglio: non si è trattato di una a tranquilla serata in cui un pazzo esaltato ha assalito con un estintore dei pacifici tutori dell'ordine che, costretti dagli eventi, hanno sparato.
Non è andata così.
C'era un corteo pacifico e autorizzato che è stato caricato all'improvviso dalla polizia, senza ragione. Una carica violenta, indiscriminata e prolungata su manifestanti inermi. Poi, la peculiare struttura urbanistica di Genova ha creato una situazione infernale: migliaia di manifestanti (ripeto, in quel caso pacifici e autorizzati) stretti in un imbuto da due ore, manganellati senza via d'uscita. Un ragazzo, esasperato, ha imbracciato un estintore ed è stato ucciso, centrato da un colpo esploso dall'interno di una camionetta, poi investito. Ancora agonizzante, è stato colpito da una sassata in faccia, data per attribuire la colpa della sua morte ad un altro manifestante a caso.
È fondamentale chiarire questo punto.
La reazione di Giuliani, cioè imbracciare un estintore (vuoto, oltre tutto e parrebbe precedentemente lanciato dalla polizia) dopo che gli è stata puntata una pistola, non nasce durante un selvaggio assalto a dei poliziotti accerchiati. Insisto, insisto come un monaco che recita un mantra; nasce dopo che un corteo pacifico e autorizzato è stato caricato per ore. Mentre chi ha devastato la città è stato lasciato libero di farlo, con i poliziotti a 150 metri che non sono intervenuti. L'unica argomentazione intelligente che si può sostenere per giustificare tale comportamento è la tesi per cui, siccome nella galleria che separava il blocco della polizia dalla manifestazione c'era un problema di ricezione, le Forze dell'Ordine hanno frainteso e hanno caricato il corteo pacifico invece di quello violento.
Nel migliore dei casi, si tratta di un caso di mastodontica disorganizzazione, dalle conseguenze tragiche.
"Si, d'accordo. Però Giuliani aveva in mano un estintore".
Si, è vero.
Dopo due ore che ti menano senza motivo, ti ritrovi davanti una camionetta della polizia, da cui escono insulti, minacce, e una pistola puntata. Trovi un estintore per terra davanti a te.
Io avrei fatto come Carlo.
Forse peggio.
E sono un non-violento, cresciuto con i libri di Gandhi e i discorsi di Martin Luther King.
Ma l'adrenalina, la frustrazione, la rabbia di essere intrappolato mentre ti manganellano per ore, senza motivo, senza preavviso, senza smettere, senza via d'uscita, metterebbero alla prova anche un bonzo.
Forse, anche molti di quelli che oggi , comodamente seduti dietro una tastiera, sentenziano "Eh, ma aveva in mano un estintore", in quella situazione lo avrebbero imbracciato.
Inoltre, di aggressioni alla polizia, molto più gravi e ingiustificate di quella di Giuliani, ce ne sono di continuo, per motivi più futili. Scontri, tumulti, tafferugli di quel genere accadono (purtroppo) molto spesso fuori dagli stadi.
Ora, Giuliani si aveva il passamontagna e aveva in mano un estintore. In generale: un ragazzo in assetto da guerriglia durante una settimana di manifestazioni viene giudicato un teppista terrorista. Ma lui era lì per esprimere un dissenso, anche violento, nei confronti di un Sistema che stava predisponendo una forma di violenza politica assai peggiore (non mi riferisco alla Diaz, ma alle politiche economiche di selvaggio liberismo che stiamo tuttora subendo). 
La sua forma di protesta (discutibile per molti, comprensibile per me) era per il bene collettivo.
Non contro i "negri", gli zingari o contro i tifosi di un'altra squadra di calcio.
Eppure mi pare che CasaPound abbia un palazzo al centro di Roma.
Eppure, non ogni domenica (per fortuna) ci scappa il morto o accadono repressioni violente e indiscriminate come quelle dei giorni successivi.
Se fossimo maliziosi (ma non lo siamo) ipotizzeremmo che si è trattato di un preciso piano strategico per stroncare nel sangue un movimento fastidioso che stava crescendo a dismisura, creare un "morto" controverso da poter additare sui media come uno "che se l'è cercata" (etichetta valida per ogni morte scomoda), ottenendo due effetti: spaventare a morte le nuove generazioni, scoraggiandole dall'andare in piazza; dare in pasto all'opinione pubblica un immagine distorta e calunniosa di comodo di un movimento variegato e non uniforme, in cui c'erano gli anarchici e pure i Papa Boys, le tute bianche e i boy scout.
In tutto ciò, riuscendo a seppellire gli orrori della notte successiva, anzi promuovendo successivamente i responsabili, molti dei quali hanno fatto carriera.
Trovo assurdo e frustrante doverne parlare ancora, dopo 15 anni, dopo documentari, testimonianze, sentenze, foto, dibattiti, citiamo per sintesi solo come da tre anni sia disponibile un'ottima ricostruzione degli eventi di quel giorno, ad opera di Wu Ming (la trovate QUI).
Se fossimo maliziosi (ma non lo siamo) potremmo dire che la morte di Giuliani non è stata un incidente tragico: è stata parte, come una variabile matematicamente prevedibile, di una precisa strategia della tensione.
Se fossimo maliziosi, potremmo pensarla così. Certo, sarebbe veramente uno scenario inquietante.
Ma, per fortuna, noi non cediamo alla malizia.
Fu una tragica fatalità: "Neppure Zeus al suo fato può sfuggire”, si sa dai tempi di Eschilo.
Vorremmo, in conclusione, riportare le parole di Zerocalcare, per sottolineare che "evidentemente Genova non è finita (...) non solo –ma basterebbe quello- perché ci sta ancora una persona in galera a 15 anni di distanza dai fatti (...) mentre altri venivano promossi e facevano carriera, ma perché è la controparte e pezzi dei suoi apparati che continuano a fare una guerra accanita e che sulla narrazione di quelle giornate non vogliono mollare di un centimetro (...) è dal 21 luglio 2001 che litighiamo su quanto è successo a Genova (...) Però forse vale la pena continuare" (aggiungo io) a raccontare, a cercare verità, a pretendere giustizia.
L'avevamo scritto anche noi, sul sito de Il Fatto Quotidiano QUI, parlando del bellissimo di Happy Diazdi Massimo Palma, che Genova 2001 non è mai finita.
Massimo Palma tra Giuliano ed Haidi Giuliani, nella Scuola Diaz, 15 anni dopo
Da una parte abbiamo un ragazzo di vent'anni che è andato col passamontagna a una manifestazione per esprimere (in maniera per molti discutibile) il suo dissenso contro un sistema iniquo.
Dall'altro esponenti delle Forze dell'Ordine (ovviamente non tutti, ci sono molti esponenti che hanno preso subito la distanze dalla mattanza di quei giorni e la considerano una macchia indelebile), preposte alla difesa dei cittadini che, secondo un'inchiesta del Guardian, non di Lotta Comunista, che trovate QUI, hanno: sparato, torturato, manganellato persone che dormivano nel sacco a pelo, minacciato di stupro giovani ragazze dopo averle prese a calci e costrette nude con la testa nel water, rifiutato cure a malati gravi, urinato addosso ai feriti sanguinanti, reso persone paraplegiche a forza di botte, preso a calci chi non inneggiava a Hitler e Pinochet.


Però, Giuliani aveva in mano un estintore.

TUTTI GLI ARTICOLI DI GIUGNO E LUGLIO

$
0
0


Care lettrici e cari lettori,
nella pausa agostana possiamo ripassare la produzione dei due mesi precedenti.
Del resto, abbiamo mantenuto un ritmo, escludendo i festivi, di un articolo ogni due giorni, credo che possiamo ora serenamente concederci un momento di riflessione.


Iniziamo con Giugno.
Su Fumettologica abbiamo pubblicato:
- il nostro contributo al volume La Grandiosa DC Comics sugli archetipi nell'universo DC QUI
- la recensione di Maledetta Balena di Walter Chendi QUI


Su la Repubblica XL:
- abbiamo raccontato il nostro fugace incontro con Brian Eno QUI
- abbiamo segnalato l'IFESTQUI

Su il Blog de Il Fatto Quotidiano:
- un omaggio a 1984 di George OrwellQUI


Su Minima&moralia:
- la nostra introduzione a La Danza dei Corvi di Manuelle MuredduQUI
- la recensione del romanzo Mors Tua di Matilde Serao QUI
- la nostra conversazione con Enrico RavaQUI

Su queste deliranti colonne:
- abbiamo parlato dell'aspetto esoterico di Napoli e Trieste QUI
- abbiamo raccontato l'omaggio a Shakespeare allo Spazio Cima QUI
- abbiamo parlato dell'omaggio a Nureyev a Caracalla QUI
- abbiamo attraversato alcune interpretazioni di PinocchioQUI
- abbiamo pubblicato l'articolo omologo sugli articoli di Maggio QUI


A Luglio invece
Su La Repubblica-XL:
- un articolo sui rapporti tra William Blake, Aldous Huxley e The DoorsQUI
- il racconto del concerto di De Gregori all'Auditorium QUI
- l'intervista deliziosamente delirante al Dr.Pira per L'Almanacco dei Fumetti della GlebaQUI
- il lancio dell'imperdibile mostra David Bowie Is a Bologna QUI
- la recensione della mostra Ex-Voto a Via del Parione a Roma QUI


Sul Blog de Il Fatto Quotidiano:
- abbiamo parlato delle connessioni tra Star Wars e la Filosofia Orientale QUI


Su Minima&moralia:
- la nostra conversazione con Antonio Rezza e Flavia MastrellaQUI
- una nostra riflessione su Avevamo ragione noi di Domenico Mungo, illustrato da Paolo Castaldi QUI

Su Davidbowieblackstar.it:
- la prima parte delle nostre riflessioni sui rapporti tra Bowie e il Buddismo QUI

Su D.A.T.E.*Hub:
- la recensione della mostra su Alphonse Mucha al Complesso del Vittoriano QUI



Su le colonne di Spezzandolemanettedellamente:
- abbiamo parlato del Piccolo Festival delle Dieci Notti QUI
- abbiamo segnalato alcune letture per l'estate QUI
- abbiamo scritto con la stessa indignazione di 15 anni fa una ricostruzione della morte di Carlo GiulianiQUI

Non preoccupatevi, siamo tornati a scrivere agli stessi ritmi.
Buona Lettura!


Le meraviglie del Progressive, dai primi Genesis agli Area #LaVinadiSaraswati

$
0
0
Esistono libri che uno vorrebbe scrivere, o meglio che uno ha pensato di scrivere, ha cullato come idee potenziali, progetti eventuali, proiezioni sempre più definite, architetture fantasma per edifici mai eretti, procrastinati per accidia o per, nobile scusa, volontà di maggiore approfondimento.
Intenzioni creative destinate a divenire chimere, incubi o urgenze a seconda delle congiunture, del carattere di ognuno, degli incroci permutanti dispiegati dall'esistenza come Tarocchi beffardi oppure illuminanti (a seconda di dove si contempli il volto androgino del Destino).
Talvolta, accade che qualcun altro abbia rotto gli indugi e abbia dato alle stampe esattamente quel libro che si voleva da anni scrivere, con lo stesso titolo, gli stessi riferimenti, gli stessi temi.
Spesso, per far pagare all'inconsapevole autore gemello (involontario psicopompo del nostro brusco risveglio alla realtà dalla caldo limbo amniotico del potenziale) la critica in quei casi si fa feroce, puntigliosa, accanita, pedante, ingiusta.
Eh, bisogna far scontare l'affronto a chi osato mostrarci il nostro fallimento.


Donato Zoppo sfugge a questa maledizione: il suo libro La filosofia dei Genesis - voci e maschere del Teatro Rock (eh, si la prima parte del titolo l'avevo in mente da cinque anni, ma forse non era un'intuizione originale). pur nella sua agile brevità (108 pagine! Coincidenza benedetta o ammiccamento esoterico?) ci appare inattaccabile, un compendio dettagliatissimo ed esauriente su uno dei più grandi fenomeni musicali degli anni '70.
Già ci occupammo della "cosa par venuta/ da cielo in terra a miracol mostrare" che per convenzione appelliamo i Genesis-Era Gabriel (QUI e QUI)
Essendo venuti al mondo quasi un lustro dopo la fine di quella strepitosa era musicale, purtroppo dobbiamo accontentarci dei, pur impressionanti, simulacri filologici dei The Musical Box, per noi occasione non solo di ascoltare un'esecuzione impeccabile delle grandi composizioni adorate, ma soprattutto di riversare su queste colonne i nostri deliri riguardo la vasta foresta di simboli in cui si smarrì lieta l'immaginazione del giovane trickster Gabriel.


Dunque,  certo apprezziamo le interpretazioni dei brani offerte da Donato nel suo scrupoloso lavoro di analisi filologica, ma in realtà siamo rimasti molto colpiti dalla prima sezione del libro: From Ally to Tommy: Rock Theatre 1967-1969, una preziosissima e non facile ricostruzione del fermento di fine anni '60 nella Swingin' London, quel teatro neo-barocco a cielo aperto, in cui si muovevano come personaggi di una recita globale ancora da scrivere, il giovane buddista mod Bowie, il suadente maestro di bugie Kemp, il mistico autodistruttivo Barrett mentre nella New York caleidoscopica Reed cresceva alla corte di Warhol, tra gli sberleffi geniali di Zappa e l'ingenua eruzione dionisiaca di Morrison.


Un humus ardente, vulcanico, inebriante quanto velenoso, dal cui calderone ipnotico nasceranno i grandi concept album dei The Who, il glam incarnato da Marc Bolan, il maestoso alter-ego di Ziggy Stardust...e appunto le cangianti maschere di Peter Gabriel.
Zoppo segue con accurata dovizia le tappe della grande evoluzione che condurrà i Genesis da "semplice" gruppo proto-progressive a irripetibile compagine creativa di moderne sinfonie esoteriche, tesse con rigore una tela di riferimenti, date, nomi, occorrenze, contatti, influenze tale da imporre a un lettore che non sia menomato intellettivamente il desiderio di studiare i grandi testi del giovane Gabriel.
Un degno tentativo, per il quale invece di osteggiare Zoppo, lo ringraziamo: ci ha fatto risparmiare tempo e fatica, realizzando un ottimo volume introduttivo all'opera magnifica di un manipolo di geni contemporanei.
Difficile far di meglio, nel breve formato.


Tutt'altra atmosfera, benché medesimi siano gli anni, emana l'altro testo di Zoppo che vogliamo presentarvi: Caution Radiation Area - alle fonti della musica radioattiva.
Un atto d'amore, dovuto, nei confronti della straordinaria stagione degli Area, soprattutto nei confronti del loro secondo disco, grandioso abbattimento di barriere sonore, complesso fino ad essere respingente, coraggioso fino a rasentare l'inascoltabilità, autenticamente rivoluzionario, fino a pagarne le logiche conseguenze commerciali e produttive.


Zoppo qui gioca in casa, consulta e interroga i protagonisti superstiti di quell'opera incomprensibile e affascinante: Fariselli, Tofani, Tavolazzi, il transfugo Dvijas, ma anche il recordista Ferrario, il fonico Bravin, dando il giusto rilievo alle menti in cabina di regia Sassi e Albergoni.
Tutto, come prevedibile, è evocazione del grande sciamano laico della vocalità riconquistata, il carismatico esploratore della fonazione come strumento di liberazione sociale: l'indimenticato Demetrio Stratos.


A rigore, è sciocco anche catalogare sotto la vasta e ambigua etichetta di progressive l'opera degli Area, in particolar modo Caution Radiation Area, manifesto sonoro meno accostabile, ma più dirompente, del precedente memorabile Arbeit Macht Frei.

Nell'atmosfera ebbra di furia ideologica della metà degli anni '70, ritmata dalle rivendicazioni delle BR, gli articoli profetici e inascoltati di Pasolini e le bombe fasciste attribuite agli anarchici, le composizioni lunghe, estenuanti, esplosive, sovranamente ipertecniche degli Area, hanno rappresentato la colonna sonora meno popolare, ma forse più icastica, dell'inquietudine interiore che possedeva ognuno sugli illusori fronti opposti.
Merito di Zoppo è unire la passione dell'ammiratore alla serietà del critico, frenando la tentazione enciclopedica con la visione d'insieme dello studioso, che da anni dedica pagine e pagine alla straordinaria stagione musicale del progressive, esplosa attorno all'anno della sua nascita (1975).
Dinamica comprensibile: divenire esperti studiosi della musica risonante attorno alla nostra culla.

Un altro motivo per sentire profonda empatia con un autore tra i più attenti e preparati del panorama giornalistico nostrano.

Nel nome della Dea - In cerca della Divina Madre #LEgidadiAtena

$
0
0
La Venere di Willendorf, testimonianza paleolitica del culto della Madre
Negli ultimi anni si è assistito ad una rinascita, caotica quanto entusiasmante, degli studi sull'archetipo della Grande Madre.
Fonte e solco di tale fioritura filosofica è chiaramente il saggio di Carl Gustav Jung Gli aspetti psicologici dell'archetipo della Madre, che con parole memorabili sancisce la primordiale priorità di questa manifestazione dell'Inconscio Collettivo: "La magica autorità del femminile, la saggezza e l'elevatezza spirituale che trascende i limiti dell'intelletto; ciò che è benevolo, protettivo, tollerante; ciò che favorisce la crescita, la fecondità, la nutrizione; i luoghi della magica trasformazione, della rinascita; l'istinto o l'impulso soccorrevole; ciò che è segreto, occulto, tenebroso; l'abisso, il mondo dei morti; ciò che divora, seduce, intossica; ciò che genera angoscia, l'ineluttabile.".
Migliaia di pagine (alcune illuminanti, molte interessanti, moltissime fuorvianti) sono state dedicate al più antico dei temi antropologici.
Da Robert Graves a Maria Gimbutas, da Joseph Campbell a Erich Neumann, fior di studiosi hanno esplorato l'oceano di connessioni segrete, occulte intuizioni, antichissime verità legate, e negate, al culto della Dea.
Ancora Jung docet: "L'archetipo della Grande Madre possiede una quantità pressoché infinita di aspetti".
Durga, Parvati, Iside, Atena, Demetra,Maria.
Volti diversi, aspetti contrastanti, apparenze distinte dello stesso luminoso diamante divino.

Shri Durga
La Dea stessa annuncia la sua perenne, cangiante, intatta manifestazione, nell'eterno lila divino di rinascite e redenzioni, nella Parola rivelata della Protennoia Trimorfica (codice 13 dei manoscritti ritrovati a Nag Hammadi):
"“Io sono la Protennoia, il Pensiero che dimora nella Luce, io sono il movimento che dimora nel Tutto, colei in cui il Tutto pone le proprie fondamenta, la primogenita tra coloro che vennero all’esistenza, colei che esiste prima del Tutto, colei che è chiamata con tre nomi, che esiste di per sé, essendo perfetta.
Io sono invisibile all’interno del Pensiero dell’Invisibile Uno e sono rivelata in ciò che è incommensurabile e ineffabile.
Sono incomprensibile, stando all’interno dell’incomprensibile.
Mi muovo in ogni creatura.
Sono la vita della mia Epinoia, ciò che dimora in ogni Potenza e in ogni eterno movimento, all’interno di Luci invisibili, all’interno degli Arconti e degli Angeli, dei Demoni e di ogni anima che dimora nel Tartaro, di ogni anima materiale.
Io dimoro in coloro che vennero all’esistenza.
Io mi muovo in ognuno e scendo nel profondo di tutti.
Io vado rettamente e risveglio colui che dorme, sono la visione di coloro che sognano nel sonno.
Io sono l’Uno invisibile all’interno del Tutto.
Io sono colei che consiglia coloro che sono nascosti e conosco il Tutto che esiste nel nascondimento.
Io sono senza numero al di là di ognuno.
Io sono incommensurabile e impronunciabile, eppure se lo desidero mi manifesterò, interamente, perché sono lo Splendore del Tutto.
Io esisto prima del Tutto e sono il Tutto perché esisto in ognuno.
Io sono una voce che parla sommessamente.
Io esisto dal principio nel Silenzio.
Io sono ciò che è in ogni voce e la voce che è nascosta in me, nell’incomprensibile illimitato pensiero all’interno dell’illimitato Silenzio.
Io discesi nel centro degli inferi e risplendetti sopra l’Oscurità.
Io sono colei che versò l’acqua.
Io sono colei che è nascosta nelle acque radianti.
Io sono colei che illuminò gradualmente il Tutto col mio Pensiero.
Io sono unita alla Voce ed è attraverso me che la Gnosi si manifesta.
Io dimoro negli ineffabili e negli incomprensibili.
Io sono la percezione e la Conoscenza, emettendo una Voce per mezzo di Pensiero.
Sono la Voce reale e parlo in ognuno ed essi la riconoscono dato che in loro dimora un Seme.
Io sono il Pensiero del Genitore e fu innanzitutto attraverso me che la Voce venne, cioè la Conoscenza di cose che non hanno fine.
Io esisto come Pensiero per il Tutto, in armonia col Pensiero, inconoscibile, irraggiungibile.
Io manifestai me stessa, Io, tra tutti coloro che mi riconoscono, perché io sono colei che è unita ad ognuno nel Pensiero nascosto e nella Voce esaltata.
Tale Voce viene dal Pensiero nascosto, incommensurabile dimora nell’Incommensurabile.
È un mistero, irrefrenabile per la sua incomprensibilità, invisibile a tutti coloro che sono manifesti nel Tutto.
È luce che dimora in Luce.".


Ora, Massimo Agostini, moderno ricercatore sulle tracce di una Gnosi sepolta, contribuisce al dibattito con un testo emblematicamente intitolato Nel Nome della Dea (ed.Sinclair).


Libro a tesi, interessante, documentato, in cui affiorano pregiate congiunzioni esoteriche, dotte sorprese etimologiche, spunti di ricerca autentica.
Ciò che diverge nella nostra interpretazione dalle tesi di Agostini (e dall'intera visione dello Shaktismo nella storia della letteratura antropologica e delle religioni) è ciò che periodicamente appelliamo "l'equivoco tantrico", in cui inciamparono anche menti eccelse come Zolla.
Per reazione all'oppressione sessuofobica paolina, si esalta il represso, sotterraneo culto ierogamico, la prostituzione sacra, la commistione (tecnicamente errata) tra Kundalini e Mooladhara Chakra.
Mooladhara in sanscrito è "supporto della radice".
La radice è l'osso sacro, sede della Kundalini.
Dunque, non si può essere supporto di se stessi. Per definizione, si sostiene altro.
Non c'è relazione alcuna tra Kundalini e attività sessuale.
Ma, tecnicalità yogiche a lato, ci rifiutiamo di sottoscrivere tale concatenazione allegorica sulla base di una semplice osservazione: La Madre è madre, la sorella è sorella, la sposa è sposa.
Questi aspetti certo convivono nell'archetipo femminile, nell'integrazione yogica del profilo psichico di una donna realizzata.
Ma sono distinti.
I danni di Freud continuano a intaccare anche gli ambiti del pensiero tradizionale.
A differenza di Agostini, che nutre i suoi studi di dichiarati stimoli della massoneria contemporanea, riteniamo interessanti solo le prime 50 pagine del best-seller di Dan Brown, in cui si riassume per le masse la considerazione sacrosanta che segue: le religioni ufficiali, le teologie dogmatiche hanno rimosso il Femminile Sacro dal Divino (si pensi a Padre, Figlio e...Madre?), il quale è invece stato recuperato esotericamente da tutte le correnti mistiche (Sufismo, Qabbalah, Gnosi) e dai grandi artisti illuminati (Leonardo da Vinci, Piero della Francesca, William Blake).
Paccottiglia è, invece, la china scandalistica del finale, col rituale ierogamico spiattellato a destare prurigini blasfeme.
Pessimo servizio alla Gnosi, splendido assist ai bacchettoni ipocriti nelle tenebre vaticane.
Come scrive con sopraffina ironia il coltissimo studioso Gregoire de Kalbermatten ne Il Terzo Avvento: "Dio, in aggiunta a tutte le altre cose, ha anche creato l'intelligenza e usarla non è peccato".


La Madonna della Misericordia di Piero della Francesca
Condividiamo, invece, ogni parola della ricostruzione di Gwenael Verez ne La Madre e La Spiritualità - La riscoperta della Dea, che affranca la metafora nuziale dall'ispirare pratiche rituali a carattere sessuale, bensì la restituisce nel suo valore squisitamente allegorico, di fusione psichica delle due energie, maschile e femminile, nell'equilibrio del Tao: "Quando la Dea Madre Kundalini si risveglia, porta con sé nella sua ascensione lo Spirito, al quale essa si unisce nella zona limbica del Cervello (che la tradizione spirituale dell’India denomina Sahasrara) appena al di sopra di ciò che la medicina chiama Talamo, termine che significa in greco Camera Nuziale”. Così, oltre al punto di unione dell’anima umana a Dio, lo Yoga è è il luogo di ritorno all'unità divina primordiale prima della separazione cosmica tra un principio maschile e uno femminile. È l’unione dello Sposo e della Sposa del Cantico dei Cantici, lo Hyeros Gamos dei neo-platonici. La Kundalini è purezza assoluta, espressione divina di verginità. Essa è Gauri, nome che significa la Vergine nella tradizione indiana. Essa genera la nascita spirituale senza l’intervento del Padre, come la nascita virginale del Cristo. La Kundalini è quindi Vergine Madre, come Maria, ed è lo stesso principio che l’Occidente ha adorato nella sua espressione religiosa".


Un dibattito cruciale che prosegue da secoli, nella quiete violata e poi restaurata dei templi del Maharashtra, nel silenzio iniziatico delle logge, nella mente vulcanica in divenire, vero Kurukshetra, di ogni ricercatore della Verità.

Carlo Sperduti e l'arte del racconto breve e paradossale #LEgidadiAtena

$
0
0

Tra gli autori di racconti brevi emersi in Italia negli ultimi anni, Carlo Sperduti si impone come tra i più sottili e intelligenti.
Un'intelligenza sottile che si è manifestata con metodo nell'accorto esercizio del proprio talento: numerosi ormai sono i racconti da lui pubblicati, in cui Sperduti, come in un laboratorio di parole e concetti, ha affinato, rodato, oliato gli ingranaggi del racconto breve, cercandone la formula aurea.
Il tutto sempre guidato da una Musa munifica quanto inaffidabile, un faro dalla luce accecante ma capricciosamente intermittente: l'umorismo paradossale.
L'esperienza ha portato Sperduti a corteggiare la Musa con accortezza ed a farsi guidare con discernimento dai lampi improvvisi e irregolari del faro prescelto.
A differenza, ad esempio, di Alessandro Bergonzoni, Sperduti non ricama la sua prosa di continui paradossi, non segue il filo delle associazioni (il)logiche, procedendo narrativamente di svolta in svolta, tracciando ad ogni bivio un percorso creato da un nuovo gioco di parole. D'altra parte, nemmeno schiera i suoi bisticci concettuali come fossero molotov pronte ad essere gettate contro il buon senso comune, nello stile di Antonio Rezza, che persegue metodicamente una decostruzione linguistica, specchio deformante, e per questo fedele, della propria dissonante ricerca filosofica.
Non ritengo nemmeno si possa associare al padre nobile del genere Lewis Carroll, i cui limerick fluviali avanzavano imponenti sull'onda del ritmo, della rima, delle associazioni libere e fulminanti.


Sperduti, ci sembra, procede in altro modo, più consapevolmente letterario rispetto ai primi due esempi, meno irrazionalmente spensierato rispetto al terzo, ingombrante maestro: trovato il calembour riuscito, il paradosso illuminante, la freddura ispiratrice egli non si limita a porla nella lista delle felici intuizioni.
Da scrittore avvertito, tecnicamente preparato, vi costruisce attorno un racconto coerente, solido, plausibile. Solo alle prime, sorprendenti battute, l'esposizione appare faceta, causa la molla iniziale (la sostituzione di una lettera ad un'espressione comune che ne ribalta il significato, un'assonanza audace che squarcia di luce inquietante la saggezza boriosa di un proverbio), ma in realtà il racconto è svolto col massimo rigore logico-deduttivo, fino alle prevedibili, inesorabili conseguenze che ciascun sillogismo narrativo imponga, data l'assurda premessa.
Dunque, è una detonazione controllata a scopo dimostrativo, un monito beffardo e ineludibile sulla vanità della logica lineare, delle convenzioni temporali, dei condizionamenti culturali, delle trappole insite nel linguaggio stesso come indizi eclatanti dei buchi neri del pensiero.
Grande precedente è Raymond Queneau, certamente, non a caso riscopritore di Hegel tramite Kojéve (e quindi abituato a confrontarsi con la dialettica identitaria tra reale e razionale).
Stilisticamente, in Italia il nome che sorge alla mente è indiscutibilmente Achille Campanile, per quanto alcuni giochi di parole abbiano un effetto comico più simile a quello ingenerato dalle improvvisazioni di Totò (genio antitetico a quello dello scrittore romano, che difatti non lo entusiasmava).
Campanile, più di Flaiano, proprio perché mentre il secondo (geniale osservatore del grottesco quotidiano) si limitava ad annotare sfondoni inconsapevoli ed irresistibili nel suo Frasario Essenziale ("Mio marito è ipocondriaco: sodomizza tutto!", "Le ha fatto un'iniezione sotto Catania"), il primo sapeva costruire in due battute un cosmo narrativo (le celebri, appunto,Tragedie in due Battute), facendo leva sulla forza esplosiva di un paradosso che violasse i limiti del pensiero.


Due sono i testi di Sperduti che sottoponiamo alla vostra attenzione, entrambi pubblicati dalle Edizioni Gorilla Sapiens.
Il primo, Lo Sturangoscia, è scritto a quattro mani con Davide Predosin, altra brillante penna amante del paradosso e del gioco linguistico (segnaliamo il suo libro notevole fin dal titolo Alcuni stupefacenti casi tra cui un gufo rotto) e presenta degnamente le qualità dei due autori.
Partendo dall'invenzione di un fantomatico strumento a fiato in grado di estrarre la tristezza fisicamente dal corpo (allusione parodistica al Pranayama?), i due autori allestiscono un concerto epistolare di deliranti botta e risposta, puntellati di raggianti antinomie, acrobazie nonsense, inconciliabili accostamenti, su un tappeto ordinato e costante di giochi linguistici, talvolta geniali, talvolta divertenti fino alla diuresi, talvolta prevedibili.
Era dai tempi di Chiedi alla polvere di John Fante che una lettera non ci faceva scoppiare a ridere così tanto (in quel caso per il crudo cinismo che la ispirava):
"Gentilissimo mentecatto, le scrivo innanzitutto per ricordarle il disprezzo che nutriamo nei suoi confronti. Destinato a una fulgida carriera, lei si ostina a gozzovigliare come se non dovesse prima o poi, come tutti, rendere conto al Creatore.".



Da amanti della letteratura, e da studiosi dei meccanismi moderni che essa innervano, i due autori giocano sul finale con le convenzioni del racconto contemporaneo, mantenendosi furbescamente in bilico tra dileggio e fedeltà.
Un libro che si legge in tre ore, ma che rimane nella nostra mente anche a lettura conclusa, una come una poesia di Palazzeschi recitata da Paolo Poli.


Sottrazione, invece, ci conduce nell'officina letteraria di Sperduti: se i primi tentativi (Un tebbirrile intanchesimo e altri rattonchi e Caterina fu gettata) potevano farci pensare ad una versione sardonica e aspra di Gianni Rodari, per l'immediatezza infantile del dispositivo narrativo, in questo caso il dogma che si impone l'autore è matematico nella sua insensatezza: 34 racconti disposti per ordine decrescente di lunghezza.
Qui emergono i grandi maestri di Sperduti, a cui l'omaggio si tributa nella accurata parodia: Julio Cortázar, sopra tutti, ma anche il Borges più lieto e chestertoniano.
Nel racconto forse meno decifrabile della raccolta, Pareti discordanti, la lezione kafkiana della brevità illuminante, filtrata dai grandi sudamericani citati, si riconosce nello sguardo claustrofobico che contempla ad occhi sgranati il grottesco che possiede il reale, fino al più emblematico dei finali: "Finalmente ero diventato impossibile".

Sono letture solo apparentemente "divertenti", bensì, più profondamente, divergenti.
Dal percorso obbligato della massa chiassosa nel deserto della mediocrità.

Enrico IV, il cortocircuito tra Volontà e Rappresentazione #LEgidadiAtena

$
0
0

Luigi Pirandelloè stato l'autore che probabilmente ha rappresentato con maggiore profondità di sfumature psicologiche i temi eminentemente novecenteschi della frammentazione dell'io, dell'illusorietà ingannevole di ciò che appelliamo reale, del contrasto tragico e straniante tra le proprie proiezioni mentali e la percezione discordante dei fenomeni attorno a noi.
Temi sviluppati con abissale sguardo da una corrente sotterranea di filosofi e sapienti occidentali, tra i quali Schopenhauer s'impone certo come colui che più esplicitamente e (anti)sistematicamente ne ha raccolto l'immensa eredità.
Eredità di cui Nietzsche sarà in seguito l'interprete più furioso e carismatico, proprio nel momento in cui tenterà, impossibilmente, di liberarsene.
Eppure, ben prima di Goethe ed Holderlin, ben prima dei Neoplatonici, ben prima delle riflessioni supreme di Meister Eckhart e Silesius (tensioni sublimi che sfondano i limiti del pensiero in largo anticipo sulle elucubrazioni cartesiane), ben prima delle riconosciute radici greche di tali riscoperte moderne (i Misteri Eleusini, la tradizione orfico-pitagorica, Eraclito), tali intuizioni erano patrimonio comune, quasi scontato, della tradizione orientale.
Come per noi lo sono ora le categorie kantiane, così per la sapienza cinese, indiana e persiana, i temi su cui s'incaglieranno le menti elaboratissime di Joyce, Kafka e (con più arroganza) Sartre, fino ed oltre Heidegger, erano l'inizio di ogni discorso metafisico.
Le vette del pensiero filosofico moderno occidentale sfiorano le fondamenta di quello orientale.
Ciò che per "noi"è il vertice, per "loro"è la base.
Una base che rende le indicazioni "noi" e "loro" del tutto sciocche nella loro clamorosa erroneità.
Del resto, è tutto logico: l'albero della riflessione occidentale è tutto rivolto verso l'esterno, quello orientale verso l'interno. Inevitabile che, per la legge della polarità, i due percorsi contrapposti si siano mossi in senso inverso, fino a recentemente sfiorarsi, dopo un millenario percorso di avvicinamento, in una congiunzione fatidica.
Le ultime scoperte della fisica post-quantistica sono innegabilmente conciliabili con i presupposti della saggezza vedica.
Ne abbiamo parlato (QUI) con una delle figure eminenti del CERN.


Queste riflessioni sono sorte dopo la lettura di una riduzione a fumetti del capolavoro di Pirandello, l'Enrico IV, opera in cui il genio siciliano mette in scena con maestosa nitidezza espositiva i temi già affrontati magnificamente in Così è (se vi pare)  e già elaborati nella lunga gestazione di Uno, nessuno e centomila (che uscirà nel 1926, quattro anni dopo il debutto dell'opera in oggetto al Teatro Manzoni di Milano).


Pirandello spezza l'oscillazione del pendolo schopenhaueriano tra dolore e noia, esponendo la storia di una follia volontaria, in cui il protagonista si avvolge del velo di Maya fino a squarciarlo, trovando un'impossibile noluntas nell'adesione folle e totale alla Rappresentazione: il modo più tragicamente esplicito per denudare la vanità illusoria del nostro io.

L'autore della riduzione fumettistica, il giovane Lorenzo Bianchi, certo non può essere accusato di mancanza d'ambizione: questo tentativo segue quello già proibitivo de L'Uomo delle Stelle, racconto a fumetto della vita di David Bowie.
Bianchi si affida ai disegni di Angelica Regni, come nel caso di Bowie a quelli di Veronica Veci Carratello.


Nella trasposizione si nota un affine sguardo registico, un'ambientazione simile, più che altro come atmosfera interiore: il protagonista smarrito nel labirinto mentale del proprio genio o della propria follia, la cui alienazione regale è trasposta fisicamente in un castello immaginario, proiezione irreale delle proprie edificazioni mentali. Entrambi personaggi che incarnano la crisi della propria personalità: una scissa nella finzione folle di un impossibile ruolo storico, l'altra sublimata in un serie di maschere, di innumerevoli alter-ego, di vite parallele ben più reali (e divenute immortali nella trasfigurazione estetica) di quella convenzionalmente intesa come vera.
Due sfide mastodontiche, necessariamente invincibili, ma che denotano una già delineata personalità autoriale. 
Sappiamo come Bianchi stia da tempo riflettendo su un progetto altrettanto ambizioso e impegnativo, una sorta di monumento fumettistico alla decadenza.
Di più non possiamo dire.
Noi, che apprezziamo l'incoscienza di gettarsi in progetti che spaventerebbero i più, non possiamo che incoraggiarlo a trasferire il suo intento dal vago e sicuro regno del potenziale al pericoloso e limitato mondo dell'atto.
In un mondo di accidiosi criticoni, ben venga chi si espone incurante a critiche, potenzialmente anche feroci, in nome dell'espressione della propria creatività.



Aldo Manuzio, l'Estetica della Conoscenza

$
0
0
Tra i numerosi motivi per dichiarar la fierezza d'essere italiani, nonostante l'inevitabile decadenza dell'holderliniano "tempo di povertà" in cui stiamo drammaticamente sopravvivendo, s'impone l'esser conterranei di Aldo Manuzio, il genio padre dell'editoria moderna.

Aprendo l'Hypnerotomachia Poliphili
In perfetta rispondenza al genius loci (il cui rovescio banalizzante sono gli stereotipi da barzelletta), se il tedesco Johannes Gutenberg da Magonza ha donato al mondo il meccanismo d'ingegneria che consentì quella che Carmelo Bene provocatoriamente definiva "la sciagura editoriale", fu l'italiano Aldo Manuzio da Bassiano (in provincia dell'attuale Latina) ad inventare il concetto di libro "bello".
Non parliamo solo delle magnifiche edizioni dantesche o del preziosissimo Hypnerotomachia Poliphili del 1499, brillante opera simbolica attribuita al domenicano Francesco Colonna, immortalata dalle magnifiche xilografie illustrative, considerato da secoli "il libro più bello del mondo" (godibile grazie alla impagabile Adelphi in formato economico).


Non parliamo solo dell'esterno o dell'aspetto meramente grafico del libro.
Manuzio, da grande umanista erede dell'equilibrio formale dell'età classica, portò ordine ed armonia anche nella stesura dei testi, stabilendo le regole d'interpunzione che tuttora correntemente (e più o meno correttamente) usiamo.
Con "l'invenzione", o meglio la riforma, della punteggiatura, Manuzio portò logica e ritmo nella scrittura e, dunque, nella fluidità stessa del ragionamento umano.
Tutto questo, senza citare quella che è oggettivamente l'invenzione editoriale più ingegnosa e duratura del Nostro: il libro "tascabile".
Manuzio fu il primo ad ideare libri in formato piccolo, che potessero essere dunque facilmente trasportabili in viaggio o durante la giornata in vari luoghi.
Perfetta coincidenza tra teoria e pratica: in un oggetto, a cui nessuno prima di allora aveva pensato, l'applicazione dell'ideale umanistico della diffusione della conoscenza.
Ogni volta che state leggendo un romanzo avvincente sulla metropolitana, o un saggio interessante mentre aspettate la fila alla posta, o che state preparando un esame studiando su un treno, ora sapete chi ringraziare.
Una mente, quindi, non solo dotatissima tecnicamente, ma dall'enorme impatto visionario, degna di figurare accanto ai grandi geni dell'Umanesimo neoplatonico che hanno reso il nostro paese un convivio di anime celesti, dall'immenso Leonardo Da Vinci al mai troppo lodato Marsilio Ficino, fino al modello d'ogni ricercatore moderno di conoscenza, Pico della Mirandola.

In occasione dell'anno manuziano, a cinquecento anni dalla scomparsa del pioniere dell'editoria moderna avvenuta il 6 Febbraio 1515 (celebrata alcuni mesi dopo da una splendida mostra alle Gallerie dell'Accademia di Venezia), Tunué ha pubblicato per l'appunto Aldo Manuzio, un fumetto che racconta per sommi capi la vita e le invenzioni del figlio più celebre di Bassiano.
Gli autori, lo sceneggiatore e disegnatore Andrea Aprile (Marthè, le mie ombre) e il camerunense Gaspard Njock (docente universitario a La Sapienza in qualità di collaboratore a corsi sul Fumetto),  hanno dato vita ad un omaggio sincero, documentato, gradevole.
Dobbiamo confessare che abbiamo giudicato alcune scelte un po' didascaliche e che, a nostro modesto giudizio, probabilmente l'intento celebrativo abbia un po' condizionato l'ispirazione, considerato che la statura culturale del personaggio e l'epoca straordinaria che visse (pensiamo solo che tra i membri dell'Accademia Aldina che Manuzio fondò compare Erasmo da Rotterdam!) avrebbero potuto forse consentire un piglio diverso, più avventuroso, quanto meno dal punto di vista della vertigine intellettuale.

Pico della Mirandola ritratto da Botticelli in un dettaglio de L'Adorazione dei Magi
D'altro canto, non capita tutti i giorni di leggere un fumetto in cui appare uno dei nostri modelli irraggiungibili di ricerca, vale a dire il già citato Giovanni Pico della Mirandola, amico di gioventù e grande sostenitore di tutta la carriera di Manuzio.
Apprezzabile, per il rigore ben sposato alle esigenze stringenti della volgarizzazione, il profilo biografico posto in appendice, a cura di Antonio Polselli.
Al di là dei limiti strettamente fumettistici dell'opera, ben vengano queste iniziative editoriali che consentono di accostare con maggior confidenza figure cruciali come quelle di Manuzio, spesso ostaggio della ieraticità scostante della cultura "alta".
Una figura la cui inestimabile importanza e urgente attualità sono ben riassunte nella celebre citazione posta in quarta di copertina: "Se si maneggiassero di più i libri che le armi, non si vedrebbero tante stragi, tanti misfatti e tante brutture".

Einstein lettore di Lucrezio

$
0
0

Salutiamo con interesse la scoperta della casa editrice La scuola di Pitagora, che fin dal nome ci appare amica, familiare, pregna di antiche risonanze sapienziali.
La collana Feuilles détachées raccoglie gemme sconosciute di grandi menti, spesso pochissime pagine, ma degne di attenta riflessione, magari appunti illuminanti ignoti ai più, articoli pubblicati su riviste del secolo scorso, interventi a conferenze storiche oppure introduzioni a edizioni particolari di classici dal sempiterno valore meditativo.
Ad un prezzo, chiaramente, molto contenuto.
Questo è il caso dell'esile ma interessantissimo libricino Leggendo Lucrezio di Albert Einstein, pubblicato tempo fa dalla casa editrice napoletana.


Un incontro folgorante: lo scienziato divenuto icona (suo malgrado, a torto o a ragione) delle conquiste della scienza moderna che medita sulle pagine del grande poeta apostolo dell'epicureismo, la fondamentale concezione meccanicistica dell'epoca classica.
In effetti, se leviamo il testo a fronte dell'originale tedesco (introduzione all'importante traduzione di Diels del capolavoro lucreziano in tedesco) e la breve postfazione di Gherardo Ugolini, stiamo parlando davvero di due paginette.
Ma sono due paginette scritte da un genio scientifico (il cui nome è divenuto sinonimo del concetto stesso!) sull'opera di un genio poetico.
C'è di che riflettere.
Definito da Foscolo "poeta e duca di color che sanno", citando il Virgilio dantesco (eppure il sommo poeta, mai cita il precedente latino, nemmeno fra gli epicurei, conoscendo il De Rerum Natura forse solo per frammenti, del resto la versione integrale fu ritrovata, semplificando, da Poggio Bracciolini in un monastero tedesco nel 1417), Lucrezio desta a tutt'oggi ammirazione per la sua saggezza distaccata e pacificante.


Solo la lettura di Spinoza e di certo Schopenhauer, più raramente quella di Montaigne, ci ispira affini esperienze di limpida contemplazione.
Una meditazione diversa da quella sublime e beatificante dei mistici indiani (anche nelle loro vertigini teologiche, quali le vette himalayane di Adi Shankaracharya), da quella armoniosa e imperturbabile dei sapienti cinesi (come il supremo Lao-Tze), da quella traboccante di splendore allegorico dei Sufi (come nel benedetto Rumi) oppure da quella furiosa e accecante dei più ispirati fra i cristiani (quali S.Juan de La Cruz).
Siamo a un livello diverso di illuminazione: ci spingiamo ai limiti dove la pura logica può condurci.
Per Dante alla salvezza, ma non alla beatitudine (rimanendo all'accostamento col suo Virgilio).

Veniamo, dunque, alle riflessioni di Einstein.
Il legame tra le intuizioni epicuree sulla luce esposte dal poeta amato da Cicerone (celebre la perfetta definizione sul poema in una lettera al fratello Quinto: "rivela uno splendido ingegno, ma anche notevole abilità artistica") e la teoria einsteiniana della Relatività è intuibile da chiunque sia edotto di entrambe (se ne parla QUI).
Einstein non solo esprime la sua ammirazione, ma porge anche al poeta filosofo una critica che Luciano Canfora ha definito "intelligentissima, rispettosa e severa al tempo stesso": rifiuta l'idea di Lucrezio come padre antico della fisica moderna (il materialismo atomistico antico non c'entra nulla con quello sviluppato nell'800 che pose le basi delle sue ricerche), evidenzia la contraddizione razionale di considerare il peso degli atomi dell'anima e dello spirito più leggeri
Eppure Jean Perrin quattro anni prima, nel suo trattato sull'origine degli atomi, aveva sancito: "Forse venticinque secoli fa, sulle rive del mare divino, dove il canto degli aedi si era appena spento, qualche filosofo insegnava già che la mutevole materia è fatta di granelli indistruttibili in continuo movimento, atomi che il caso e il fato avrebbero raggruppato nel corso dei secoli secondo le forme e i corpi che ci sono familiari" (come illustrato QUI).
Nonostante gli onesti rilievi, Einstein senza dubbio riconosce profonde affinità.
Esse sono rappresentate dall'individuazione dei "nessi casuali", ma soprattutto, sottolinea Ugolini, da "l'istanza etica di fondo, ovvero di liberare l'umanità da ogni forma di religione e superstizione e dalle paure che da lì scaturiscono".
Einstein scrive esattamente: "L'obiettivo principale che Lucrezio si propone col suo poema è di liberare l'uomo dalla paura che suscitano religione e superstizione e che ci rende schiavi; una paura alimentata e sfruttata dai sacerdoti per i propri interessi".
"L'oppio dei popoli" marxiano, innegabile costante dei fenomeni storici.
Un laicismo profondo che non contraddice, ma anzi rinsalda, la contemplazione dei "nessi casuali": "Dio non gioca a dadi", nella celebre battuta dello scienziato.


Concludiamo, ricordando il passo sovrano di Lucrezio a cui da sempre guardiamo come ad un faro che guida la rotta tra le intemperie imprevedibili dell'esistenza.
Saggezza e distacco, espresse magnificamente nel celebre proemio del Libro II del poema, e qui tradotte in prosa: "È dolce, quando sul vasto mare i venti turbano le acque, assistere da terra al gran travaglio altrui, non perché sia un dolce piacere che qualcuno soffra, ma perché è dolce vedere di quali mali tu stesso sia privo. È dolce anche vedere i grandi scontri di guerra schierati nella pianura senza che tu prenda parte al pericolo. Ma nulla è più dolce che tenere saldamente gli alti spazi sereni, fortificati dalla dottrina dei sapienti, da dove tu puoi stare a guardare dall'alto gli altri, e osservarli errare qua e là e cercare smarriti la via della vita, gareggiare in qualità intellettuali, contendere in nobiltà di sangue e sfarzosi di notte e giorno, con instancabile attività, per arrivare ad una grande ricchezza e impadronirsi del potere. O misere menti degli uomini, o ciechi animi! In quali tenebre di vita e in quanti pericoli si trascorre questo poco di vita, qualunque essa sia! E come non vedere che la natura null'altro pretende per sé, se non che in quanto al corpo il dolore sia lontano, e in quanto all'anima goda di piacevoli sensazioni, priva di affanni e di timori?".

Millenni di sapienza orientale, certo decapitati della rivelazione metafisica, riassunti in versi memorabili, sufficienti di per sé a delineare la via per una vita saggia.

Ricordando Anna Magnani allo Spazio Cima

$
0
0

"Mamma Roma"
“Lasciami tutte le rughe, non me ne togliere nemmeno una. C'ho messo una vita a farmele!” .
In questa celebre frase è riassunta la grandezza iconica di Anna Magnani: sincerità, fierezza, passione, gusto popolano per la provocazione.

Pochi invece conoscono un'altra frase storica, proferita da Jurij Gagarin al termine della prima rotazione compiuta della terra.
O meglio, tutti ne conoscono la prima parte. Non sanno che l'astronauta disse testualmente: "Saluto la fraternità degli uomini, il mondo delle arti, e Anna Magnani".

Sarebbe ingiusto limitare la carriera della Magnani alla scena leggendaria e straziante del finale di Roma Città Aperta, che commosse perfino Ungaretti ("Ti ho sentito gridare Francesco dietro un camion e non ti ho più dimenticato").
La Magnani è stata di più: Mamma Roma, innanzitutto.
Ancora una volta una madre negata, derisa, eppure titanica nella sua dignità offesa.
Fu anche la protagonista internazionale de La rosa tatuata, per cui vinse il Premio Oscar.
Fu la compagna di Rossellini, l'amante rifiutata da Marlon Brando.
Fu la prima grande icona femminile del cinema italiano nel mondo, prima di Sophia Loren o di Gina Lollobrigida, di cui certo non poteva vantare la bellezza da idolo egizio (ci riferiamo alla prima) o le forme ipnotiche (ci riferiamo alla seconda).
La Magnani fu ambasciatrice dell'arte italiana del mondo.
Jean Renoir ebbe a dire: "La Magnani è la quinta essenza dell'Italia, ed anche la personificazione più completa del teatro, del vero teatro con scenari di cartapesta una bugia fumosa e degli stracci dorati, dovevo logicamente rifugiarmi nella commedia dell'arte e prendere con me in questo bagno la Magnani, le sono grato per aver simboleggiato nel mio film tutte le altre attrici del mondo".



Ma le parole più vere e toccanti sono probabilmente quelle di Eduardo, scritte poco tempo dopo la morte dell'attrice nel '73: "Confusi con la pioggia sul selciato, sono caduti gli occhi che vedevano gli occhi di Nannarella che seguivano le camminate lente sfiduciate ogni passo perduto della povera gente. Tutti i selciati di Roma hanno strillato. Le pietre del mondo li hanno uditi ".


Chi volesse esplorare la grandezza di questa indimenticabile icona di dolente umanità può visitare lo Spazio Cima, Sabato 15 Ottobre, dove dalle 18.30 alle 20,  a 60 anni dalla vittoria del Premio Oscar, verrà tributato un omaggio alla grande attrice.



Come avvertono gli organizzatori:"La partecipazione del maestro Natino Chirico che esporrà le sue opere dedicate all’attrice, oltre a raccontare aneddoti e retroscena, sarà l’occasione per ricordare la carriera della Magnani. I suoi dipinti rimarranno esposti in galleria fino al 30 ottobre.
Spazio anche alla letteratura con la presentazione del fortunato volume Anna Magnani. Biografia di una donna di Matteo Persica (Odoya).
 Sarà l’autore stesso a intervenire, rivelando gli aspetti meno conosciuti della protagonista del suo racconto".

Un doveroso omaggio a una delle più grandi protagoniste del cinema europeo.


Venere e Lakshmi, perché celebrare il Diwali in Occidente

$
0
0
A Emanuele Sabetta, di cui oggi ricorre la felice nascita
Alla Lakshmi del mio focolare, specchio della Venere botticelliana


Questi sono meri appunti di una domenica mattina per un tema che meriterebbe una trattazione in sette volumi. Spero che alcuni spunti possano essere comunque utili ganci per una ricerca ulteriore.


Sandro Botticelli, nel suo immortale capolavoro La nascita di Venere, rappresenta la divinità pagana con i tratti simbolici propri della dea Lakshmi, che nell'induismo rappresenta l'abbondanza, la buona fortuna, la luce, la grazia femminile, della saggezza.

La Venere, depurata dalla sensualità antropomorfica di Afrodite, appare, come la dea induista, mentre sorge dalla spuma del mare, elemento archetipico collegato etimologicamente anche a Maria/Myriam.
La dea, il cui splendore primigenio è subito velato pudicamente, appare in una posa "piena di grazia" su una conchiglia, come Lakshmi appare su un loto: benché dall'aspetto pingue, in rappresentazione dell'abbondanza, la dea indù rappresenta la leggerezza, la dote femminile di non porre pressione, dunque in grado di sorridere in equilibrio su un fragile fiore.
La conchiglia è un simbolo esoterico di antica tradizione (pensiamo a S.Giacomo, ma addirittura è presente sia nei paramenti papali che nei culti luciferini), per l'ovvia metafora della perla come conoscenza occulta. La peculiare rappresentazione botticelliana non può non evocare, agli studiosi di dottrine yogiche, il Mooladhara (il primo chakra, "supporto della radice") che sorregge l'osso sacro dal quale l'energia vergine femminile Kundalini s'innalza.


Ecco, dunque, che La Nascita di Venere archetipicamente rappresenta la seconda nascita, il risveglio, l'illuminazione, l'avvento di quella Primavera (altro tema botticelliano per antonomasia) interiore, annunciata dalla brezza dello Zefiro (che ad uno sguardo consapevole della simbologia induista suggerisce un accostamento con Hanuman, "figlio del dio del vento").
Questi non sono accostamenti peregrini.
L'arte di Botticelli si nutriva degli insegnamenti illuminati di Marsilio Ficino, dottissimo e risvegliato studioso di Qabbalah alla luce della visione neoplatonica (in cui il riconoscimento della manifestazione della Shekinah, aspetto femminile del Divino, ha ruolo cruciale).
Che tale ricchezza allegorica sia dono, direbbe Jung, dell'Inconscio Collettivo, oppure figlia di una strategia simbolica studiata a tavolino, ciò non sta a noi sancire.
Ma il simbolo risplende potente, innegabile, pristino sulla tela benedetta.


Lakshmi diviene poi Mahalakshmi: la benedizione terrena della ricchezza e del benessere si traduce sul piano spirituale sotto forma di beatitudine.
Per il sommo teologo e sublime poeta Adi Shankaracharya ella è Parabhrama swarupini, la forma della coscienza assoluta.
Nell'esoterismo islamico, Fatima è adorata come la "grotta del Profeta": ecco come la presenza femminile (madre, figlia o sposa nei suoi diversi aspetti) diviene rifugio, luogo, obiettivo e sostanza della meditazione stessa.

La Triplice Ecate di William Blake

In questo complesso gioco di trasfigurazione simbolica, in cui gli archetipi assumono diverse forme nelle diverse culture, è di straordinario interesse conoscere quali figure umane abbiano ispirato ai grandi artisti, nel limite dell'incarnazione terrena, le più alte visioni della storia della pittura.
Ecco come le fattezze umane divengono specchio del Divino, ecco come l'uomo è ponte ("una corda tesa" direbbe Nietzsche) al superamento stesso dei propri limiti, "Poiché Misericordia ha un cuore umano,/ Umano volto è il volto di Pietà,/ Amore è la divina umana forma/ Pace è la veste che riveste l'uomo", come ribadì William Blake (qui tradotto da Ungaretti).

Tale è il caso di Simonetta Cattaneo Vespucci, simbolo del Rinascimento, come giustamente appone l'autrice Paola Giovetti al titolo del libro a lei dedicato La modella del Botticelli (Edizioni Studio Tesi).
Una lettura incantevole che ricostruisce, risalendo a fonti non proprio abbondanti, la vita della nobildonna le cui fattezze Botticelli eternò come icona di Bellezza assoluta.
Parliamo della modella non solo della Venere, ma anche della Flora ne La Primavera e delle più celebri Madonne botticelliane.
Come il cognome rivela ai più attenti, Simonetta era imparentata alla lontana col più celebre Amerigo, avendo sposato il cugino, non prossimo, Marco.
Nello stesso albero genealogico, l'esplorazione di campi ignoti, nel globo e nell'arte.
L'arrivo a Firenze della coppia di sposi (originari di Porto Venere, il cui nome verrà dedicato a posteriori dalla più celebre delle sue figlie) fu un vero e proprio avvento per l'arte, coincidendo (grazie a quella sincronicità che danno ragione, nella sua follia mistica, a Léon Bloy quando descrive la storia come "un testo liturgico") con l'assunzione di Lorenzo il Magnifico alla guida della Repubblica fiorentina.

Madonna della Melagrana di Botticelli, con le fattezze di Simonetta Vespucci

Dunque, nella proverbiale magnificenza della circostanza, la Giovetti racconta il "Torneo di Giuliano" (fratello di Lorenzo), immortalato dal Poliziano, in cui in palio v'era appunto un ritratto della meravigliosa sposa, proclamata "Regina del Torneo" e La sans par ("la senza pari", come recitato in calce al ritratto) al cui fascino nemmeno il Magnifico stesso seppe resistere, componendo per lei versi adoranti nelle Selve d'Amore.
Non solo il Botticelli in pittura (anche in un ritratto), non solo il Magnifico in letteratura: a Pietro di Cosimo dobbiamo un celebre ritratto della Vespucci.

Ritratto di Simonetta Vespucci di Pietro da Cosimo

Ma, come l'Adorabile di Rimbaud, Simonetta Vespucci venne, sconvolse tutti con la sua bellezza, e se ne andò, morendo giovanissima di tisi (o di peste), il 26 Aprile del 1476.
L'omaggio di Lorenzo il Magnifico merita di essere riportato almeno in parte, ov'egli la celebra come la stella più luminosa che dal momento della dipartita andrà a splendere in cielo:
"O chiara stella, che co’ raggi tuoi
togli alle tue vicine stelle il lume,
perché splendi assai più del tuo costume?
Perché con Febo ancor contender vuoi?

Forse i belli occhi, quali ha tolti a noi
Morte crudel, ch’omai troppo presume,
accolti hai in te: adorna del lor lume,
il suo bel carro a Febo chieder puoi.

O questa o nuova stella che tu sia,
che di splendor novello adorni il cielo,
chiamata esaudi, o nume, e voti nostri:

leva dello splendor tuo tanto via,
che agli occhi, che han d’eterno pianto zelo,
sanza altra offension lieta ti mostri".

Botticelli volle essere seppellito ai piedi della sua Musa.
Un omaggio molto più toccante e significativo dei ripetuti paralleli con cui D'annunzio intendeva esaltare le sue eroine.

Ritratto di giovane donna del Botticelli, tradizionalmente identificata con Simonetta Vespucci

In conclusione, per chiudere il cerchio dei riferimenti, ci sembra di buon auspicio oggi celebrare questo aspetto archetipico, nelle sue diverse forme divine ed umane, poiché ricorre il periodo di Diwali.
Dal sanscrito "dipawali", fila di luci, il Diwali è una delle più importanti celebrazioni nella cultura indiana, dal valore universale: celebrare la vittoria della luce (il ritorno del re giusto e nobile Rama, inconsapevole incarnazione divina, ad Ayodhya. dopo 14 anni di esilio) nel periodo più buio dell'anno.
Nelle parole del maestro Shri Mataji Nirmala Devi, il Diwali rappresenta la luce dell'illuminazione spirituale, ed è collegato a livello sottile all'archetipo di Lakshmi: "Celebrare il Diwali è qualcosa di molto gioioso. Ma questa gioia non è solo per noi stessi; questa gioia è per il mondo intero".
L'atmosfera di composta letizia e quieto splendore del Diwali ci riporta alla magia originaria delle festività natalizie, smarrite nell'affanno consumistico dei riti della società di massa.


Dopo l'esempio di Barack Obama, che da anni ha riconosciuto il valore simbolico universale della festività, per il terzo anno consecutivo il Senato italiano ha accolto la proposta dell'Unione Induista Italiana di ospitare un convegno multireligioso, in occasione della celebrazione del Diwali, sul tema dell'Educazione e linguaggi della convivenza, il 12 Ottobre scorso.

Questo è un evento importante e ci dona qualche speranza.

Continueremo a lottare dalla parte di questa resistenza multiculturale e spirituale, ben lontana dagli scherzetti o dolcetti di Halloween.

Venere e Lakshmi, perché celebrare il Diwali in Occidente

$
0
0
A Emanuele Sabetta, di cui oggi ricorre la felice nascita
Alla Lakshmi del mio focolare, specchio della Venere botticelliana


Questi sono meri appunti di una domenica mattina per un tema che meriterebbe una trattazione in sette volumi. Spero che alcuni spunti possano essere comunque utili ganci per una ricerca ulteriore.


Sandro Botticelli, nel suo immortale capolavoro La nascita di Venere, rappresenta la divinità pagana con i tratti simbolici propri della dea Lakshmi, che nell'induismo rappresenta l'abbondanza, la buona fortuna, la luce, la grazia femminile, della saggezza.

La Venere, depurata dalla sensualità antropomorfica di Afrodite, appare, come la dea induista, mentre sorge dalla spuma del mare, elemento archetipico collegato etimologicamente anche a Maria/Myriam.
La dea, il cui splendore primigenio è subito velato pudicamente, appare in una posa "piena di grazia" su una conchiglia, come Lakshmi appare su un loto: benché dall'aspetto pingue, in rappresentazione dell'abbondanza, la dea indù rappresenta la leggerezza, la dote femminile di non porre pressione, dunque in grado di sorridere in equilibrio su un fragile fiore.
La conchiglia è un simbolo esoterico di antica tradizione (pensiamo a S.Giacomo, ma addirittura è presente sia nei paramenti papali che nei culti luciferini), per l'ovvia metafora della perla come conoscenza occulta. La peculiare rappresentazione botticelliana non può non evocare, agli studiosi di dottrine yogiche, il Mooladhara (il primo chakra, "supporto della radice") che sorregge l'osso sacro dal quale l'energia vergine femminile Kundalini s'innalza.


Ecco, dunque, che La Nascita di Venere archetipicamente rappresenta la seconda nascita, il risveglio, l'illuminazione, l'avvento di quella Primavera (altro tema botticelliano per antonomasia) interiore, annunciata dalla brezza dello Zefiro (che ad uno sguardo consapevole della simbologia induista suggerisce un accostamento con Hanuman, "figlio del dio del vento").
Questi non sono accostamenti peregrini.
L'arte di Botticelli si nutriva degli insegnamenti illuminati di Marsilio Ficino, dottissimo e risvegliato studioso di Qabbalah alla luce della visione neoplatonica (in cui il riconoscimento della manifestazione della Shekinah, aspetto femminile del Divino, ha ruolo cruciale).
Che tale ricchezza allegorica sia dono, direbbe Jung, dell'Inconscio Collettivo, oppure figlia di una strategia simbolica studiata a tavolino, ciò non sta a noi sancire.
Ma il simbolo risplende potente, innegabile, pristino sulla tela benedetta.


Lakshmi diviene poi Mahalakshmi: la benedizione terrena della ricchezza e del benessere si traduce sul piano spirituale sotto forma di beatitudine.
Per il sommo teologo e sublime poeta Adi Shankaracharya ella è Parabhrama swarupini, la forma della coscienza assoluta.
Nell'esoterismo islamico, Fatima è adorata come la "grotta del Profeta": ecco come la presenza femminile (madre, figlia o sposa nei suoi diversi aspetti) diviene rifugio, luogo, obiettivo e sostanza della meditazione stessa.

La Triplice Ecate di William Blake

In questo complesso gioco di trasfigurazione simbolica, in cui gli archetipi assumono diverse forme nelle diverse culture, è di straordinario interesse conoscere quali figure umane abbiano ispirato ai grandi artisti, nel limite dell'incarnazione terrena, le più alte visioni della storia della pittura.
Ecco come le fattezze umane divengono specchio del Divino, ecco come l'uomo è ponte ("una corda tesa" direbbe Nietzsche) al superamento stesso dei propri limiti, "Poiché Misericordia ha un cuore umano,/ Umano volto è il volto di Pietà,/ Amore è la divina umana forma/ Pace è la veste che riveste l'uomo", come ribadì William Blake (qui tradotto da Ungaretti).

Tale è il caso di Simonetta Cattaneo Vespucci, simbolo del Rinascimento, come giustamente appone l'autrice Paola Giovetti al titolo del libro a lei dedicato La modella del Botticelli(Edizioni Studio Tesi).
Una lettura incantevole che ricostruisce, risalendo a fonti non proprio abbondanti, la vita della nobildonna le cui fattezze Botticelli eternò come icona di Bellezza assoluta.
Parliamo della modella non solo della Venere, ma anche della Flora ne La Primavera e delle più celebri Madonne botticelliane.
Come il cognome rivela ai più attenti, Simonetta era imparentata alla lontana col più celebre Amerigo, avendo sposato il cugino, non prossimo, Marco.
Nello stesso albero genealogico, l'esplorazione di campi ignoti, nel globo e nell'arte.
L'arrivo a Firenze della coppia di sposi (originari di Porto Venere, il cui nome verrà dedicato a posteriori dalla più celebre delle sue figlie) fu un vero e proprio avvento per l'arte, coincidendo (grazie a quella sincronicità che danno ragione, nella sua follia mistica, a Léon Bloy quando descrive la storia come "un testo liturgico") con l'assunzione di Lorenzo il Magnifico alla guida della Repubblica fiorentina.

Madonna della Melagrana di Botticelli, con le fattezze di Simonetta Vespucci

Dunque, nella proverbiale magnificenza della circostanza, la Giovetti racconta il "Torneo di Giuliano" (fratello di Lorenzo), immortalato dal Poliziano, in cui in palio v'era appunto un ritratto della meravigliosa sposa, proclamata "Regina del Torneo" e La sans par ("la senza pari", come recitato in calce al ritratto) al cui fascino nemmeno il Magnifico stesso seppe resistere, componendo per lei versi adoranti nelle Selve d'Amore.
Non solo il Botticelli in pittura (anche in un ritratto), non solo il Magnifico in letteratura: a Pietro di Cosimo dobbiamo un celebre ritratto della Vespucci.

Ritratto di Simonetta Vespucci di Pietro da Cosimo

Ma, come l'Adorabile di Rimbaud, Simonetta Vespucci venne, sconvolse tutti con la sua bellezza, e se ne andò, morendo giovanissima di tisi (o di peste), il 26 Aprile del 1476.
L'omaggio di Lorenzo il Magnifico merita di essere riportato almeno in parte, ov'egli la celebra come la stella più luminosa che dal momento della dipartita andrà a splendere in cielo:
"O chiara stella, che co’ raggi tuoi
togli alle tue vicine stelle il lume,
perché splendi assai più del tuo costume?
Perché con Febo ancor contender vuoi?

Forse i belli occhi, quali ha tolti a noi
Morte crudel, ch’omai troppo presume,
accolti hai in te: adorna del lor lume,
il suo bel carro a Febo chieder puoi.

O questa o nuova stella che tu sia,
che di splendor novello adorni il cielo,
chiamata esaudi, o nume, e voti nostri:

leva dello splendor tuo tanto via,
che agli occhi, che han d’eterno pianto zelo,
sanza altra offension lieta ti mostri".

Botticelli volle essere seppellito ai piedi della sua Musa.
Un omaggio molto più toccante e significativo dei ripetuti paralleli con cui D'annunzio intendeva esaltare le sue eroine.

Ritratto di giovane donna del Botticelli, tradizionalmente identificata con Simonetta Vespucci

In conclusione, per chiudere il cerchio dei riferimenti, ci sembra di buon auspicio oggi celebrare questo aspetto archetipico, nelle sue diverse forme divine ed umane, poiché ricorre il periodo di Diwali.
Dal sanscrito "dipawali", fila di luci, il Diwali è una delle più importanti celebrazioni nella cultura indiana, dal valore universale: celebrare la vittoria della luce (il ritorno del re giusto e nobile Rama, inconsapevole incarnazione divina, ad Ayodhya. dopo 14 anni di esilio) nel periodo più buio dell'anno.
Nelle parole del maestro Shri Mataji Nirmala Devi, il Diwali rappresenta la luce dell'illuminazione spirituale, ed è collegato a livello sottile all'archetipo di Lakshmi: "Celebrare il Diwali è qualcosa di molto gioioso. Ma questa gioia non è solo per noi stessi; questa gioia è per il mondo intero".
L'atmosfera di composta letizia e quieto splendore del Diwali ci riporta alla magia originaria delle festività natalizie, smarrite nell'affanno consumistico dei riti della società di massa.


Dopo l'esempio di Barack Obama, che da anni ha riconosciuto il valore simbolico universale della festività, per il terzo anno consecutivo il Senato italiano ha accolto la proposta dell'Unione Induista Italiana di ospitare un convegno multireligioso, in occasione della celebrazione del Diwali, sul tema dell'Educazione e linguaggi della convivenza, il 12 Ottobre scorso.

Questo è un evento importante e ci dona qualche speranza.

Continueremo a lottare dalla parte di questa resistenza multiculturale e spirituale, ben lontana dagli scherzetti o dolcetti di Halloween.

FENG SHUI - Abitare l'Armonia con Consapevolezza

$
0
0


Nella miriade di costosi corsi di discipline "alternative" orientali, pubblicizzati con sbiaditi volantini dalle scarne decorazioni floreali alternate a variopinte spirali e insopportabili cuoricini, impartiti da sedicenti insegnanti improvvisati, tutti titolati di improbabili appellativi onorifici in sanscrito, nella fauna famelica e scomposta di imbarazzanti scimmiette della sapienza vedica, emersa dal pericoloso calderone indistinto della cosiddetta New Age, il Divino, tanto invocato lamentosamente dai suddetti "guru" a buon mercato, ogni tanto ci concede la benedizione di incontrare qualcuno che davvero ci capisce qualcosa e sa quel che dice.
 È il caso di Marta Cristina Ceccarelli, architetta che integra le sue conoscenze tecniche con un approfondimento ventennale delle discipline orientali.


Nel suo blog benesserecasa.wordpress.com, Ceccarelli condivide le sue ricerche nell'ambito del Feng-Shui, antica arte cinese che, unendo architettura tradizionale e geomanzia, insegna come organizzare ed arredare lo spazio abitativo in armonia con gli elementi naturali.


No, non si tratta di bislacchi capricci per fricchettoni facoltosi.
Si tratta di una conoscenza dalle radici millenarie, che nasce dalla sapienza di un maestro dal valore universale come Lao Tze.
Del resto, considerando la gestione dell'ambiente naturale propostaci dalla razionalissima civiltà occidentale, credo non sia il caso, non dico di fare dell'ironia, ma proprio di aprire bocca nei confronti di tradizioni che hanno per secoli vissuto in saggio accordo con i ritmi delle stagioni e le alchimie degli elementi.


Nel suo diario virtuale, Ceccarelli sceglie un tono semplice, divulgativo, comprensibile anche a chi è digiuno di filosofia orientale.
Non aspettatevi disquisizioni filosofiche, astrusi voli pindarici, complesse analisi filologiche.
 È tutto molto semplice, concreto, volto all'esperienza pratica, non alla speculazione teorica.



Ecco alcuni esempi, in cui potrete cominciare a muovere i primi passi in questo affascinante sentiero di conoscenza empirica, QUI, QUI e QUI.



Per chi volesse approfondire di persona, domani l'architetta terrà una conferenza introduttiva sul Feng Shui contemporaneo a Bracciano, allo spazio Manipura (mai nome fu più adatto), in via Arno 9.
QUI i dettagli.

Capitolo 49 del Tao Te Ching
Con l'augurio che possa essere la scoperta di un modo più consapevole di vivere la propria casa, non come una cella temporanea nelle pause della catena di montaggio, ma come un tempio di resurrezione quotidiana.

Gli Scarabocchi di maicol&mirco a teatro!

$
0
0
Circa quattro anni fa principiavo l'insensata avventura di questo diario virtuale.
Una decisione epocale, financo apocalittica nei confronti della mia proverbiale letargia, mascherata da sicumera, la quale saggiamente mi imponeva di trincerarmi dietro l'Elogio della Pagina Bianca di Stephane Mallarmé.

Una svolta traumatica, che ha avuto come rovescio, in omaggio alla legge della polarità, l'attuale delirio grafomaniacale che vi infliggo quotidianamente.
Due sono i principali responsabili del supplizio che vi martirizza cotidie, io qui solennemente declino qualsiasi attribuzione di colpa.
Quattro anni fa esatti, su richiesta di maicol&mirco, cedevo controvoglia al martellamento storico di Lorenzo Ceccotti.
Nei miei piani, la bizzarria sarebbe sopravvissuta per la durata massima di tre settimane.
Oggi mi ritrovo a conversare ogni settimana, su testate che apprezzo, con gli artisti e gli intellettuali più importanti del panorama culturale contemporaneo.
Colgo l'occasione per ringraziare  tutte le lettrici e tutti i lettori della generosa, quasi incomprensibile, fiducia.

Ho esordito proprio con una prolusione, memorabile testimonianza di squilibrio mentale, su Gli Scarabocchi di maicol&mircoQUI.


In questa tetraèteride (un modo complicato per dire "quattro anni", la cui fondamentale invenzione dobbiamo al buon Solone mentre contestava i cicli lunari di Talete), con Gli scarabocchi ci siamo fatti compagnia QUI eQUI, più in varie prefazioni, ritmando a vicenda i corrispettivi progressi nell'ambito della patologia schizoide, s'intende.
Non è un caso, dunque, che proprio in concomitanza dell'anniversario del blog, Gli Scarabocchi sbarchino a teatro.


[Siete di fronte a una bieca e menzognera forzatura, poiché già più volte lo spettacolo è andato in scena nei mesi scorsi, ma non vedo per quale motivo, nell'oceano di false informazioni in cui si naviga ogni giorno, voi dovreste esercitare il vostro spirito critico, avido di verifica dei fatti, proprio su queste mie sciocche righe.
Fingiamo, dunque, l'ennesima miracolosa coincidenza, in realtà gli abbiamo visti il 4 Ottobre, in onore a San Francesco, a Centrale Preneste Teatro durante la rassegna Teatri di Vetro]


La prima obiezione è spontanea: come portare sulla scena creature così magnificamente astratte, perfettamente iconiche nella loro spettrale inconsistenza, quasi una grottesca esemplificazione, per contrari, del concetto di Wabi-Sabi (si, il volumetto Lost in Translation ci è proprio piaciuto)?
Il concetto Wabi-Sabi, "trovare la bellezza nell'imperfezione", illustrato da Elle Frances Sanders

Come portare sulla scena l'effetto comicamente devastante della battuta violenta che ci sorprende a pagina appena girata, o il ritmo infernale dei paradossi riassunti in una sola, crudele, spietata vignetta? Come rendere la perfezione aforistica (perfezione nera, rovesciata nell'errore assoluto) delle affermazioni definitive, che assumono risonanza universale proprio perché porte da uno scarabocchio disegnato su carta, privo di identità, di corpo, di esistenza reale, mera identità concettuale che ci inchioda alla nostra miseria? Come restituire l'atmosfera irreale del non-luogo immerso nel sangue ove ha forma la quintessenza del nichilismo più beffardo?
Come rappresentare, insomma, in carne ed ossa Gli Scarabocchi?

La sfida è folle, insensata, destinata al fallimento.
Per questo la rispettiamo con grande interesse.

Il regista Andrea Fazzini, direttore artistico del Teatro Rebis (autore, tra l'altro, di un interessante spettacolo su Sylvia Plath), la accetta con coraggio, costruendo un filo narrativo tra le centinaia di vignette sfornate dalla mente filosoficamente criminale di Maicol.
Nell'impossibilità di rendere vivi Gli Scarabocchi, ragguardevole è lo sforzo degli attori Meri Bracalente (bravissima nel passare in pochi istanti dal ghigno blasfemo alla disperazione), Sergio Licatalosi (voce puntuale del disincanto) e Fernando Micucci (esplosivo nella coda dedicata al personaggio di Ivo il Barzellettiere). Le scenografie, essenziali ma convincenti, sono opera di Cifone, mentre la colonna sonora (che Pasolini avrebbe potuto scegliere come sigla per il finale, unica scena contemplabile, di Salò- Le centoventi giornate di Sodoma) sono composte ed eseguite dal maestro MAT64.


Non celiamo la soddisfazione per aver riconosciuto in un momento dello spettacolo un nostro testo, usato brillantemente come presentazione dello spettacolo di barzellette oscene di Ivo.

Ma, insomma, come lo spettacolo?

Bellissimo, disastroso, adorabile, superfluo.
 Dipende dal punto di vista.

Da un lato l'idea è geniale: Gli Scarabocchi di maicol&mirco sembrano scritti in manicomio da Antonin Artaud. Proprio per questo qualcuno potrebbe dire che il progetto è inutile: portare a teatro un fumetto che è già compiutamente teatro, ma solo all'interno del suo essere un fumetto (no, non è una supercazzola, rileggetela con calma).

Da un lato la riuscita è ottima: i tempi comici funzionano perfettamente, la gente ride fino alla diuresi incontrollata, gli attori trovano una simbiosi convincente nei botta e risposta, nelle smorfie concertate, nei gesti simulanti le creature fumettistiche.
Dall'altro, la distanza è chiaramente incolmabile, tra l'impatto della lettura e la contemplazione dello spettacolo.

In breve, lo spettacolo in sé, autonomamente funziona, e bene.
Si tratta di una delle cose più intelligenti che possiate vedere a teatro.
Ma, chiaramente, vive del confronto, del rimando alla fonte, per quanto la mano registica si senta, nella creazione di un sentiero di riflessione coerente (Maicol nella presentazione che facemmo con Fazzini da Giufà si disse "continuamente sorpreso da se stesso").

Andrea Fazzini, il sottoscritto e Maicol, coperto da bevande di varia natura
Altro elemento, che forse condiziona il nostro giudizio, è il fatto di avere visto lo spettacolo in un'occasione quasi celebrativa, la prima romana con centinaia di amici e ammiratori: le battute, conosciute a memoria dal pubblico, venivano attese come il goal mentre il calciatore allo stadio piazza la palla sul dischetto del rigore.
In realtà, però, mentre ci si sbellicava andava in scena l'abisso interiore.
Risata catartica? Troppo facile.
Le bestemmie di Maicol, lo diciamo dal momento 1 di questo blog, non sono goliardia scollacciata, ma urlo disperatamente metafisico, urlo che prova a rintronare l'universo sordo per stanarne il senso metafisico, proprio negandolo, ingiuriandolo, disprezzandolo.
Come si fa con ciò che si ama ma non si riesce a possedere.

Sarebbe interessante vedere lo spettacolo in un contesto assolutamente digiuno dalla lettura delle vignette.
Chi l'ha fatto assicura che il pubblico non ride, al contrario rimane impietrito in un silenzio rapito, sciolto solo dagli applausi finali.


Ecco, in quel caso, lo spettacolo assume(rebbe) il suo sacrosanto senso.
Ridare alla scena teatrale il suo ruolo di sguardo abissale sul buio (e la luce) interiore.



P.S.
Gli Scarabocchi di maicol&mirco saranno in  scena oggi durante il Bilbolbul all'Ateliersì a Via San Vitale (luogo adattissimo: si, proprio quella della Porta dopo la quale per Guccini il mondo scoppiava).
Il civico è il 69.
Ascoltate il cd postumo di Paolo Poli per ulteriori ragguagli QUI


Buona visione.





L'IMMAGINE FEMMINILE IN SHAKESPEARE secondo Paolo Randazzo

$
0
0

Nell'anno del 400esimo anniversario della scomparsa di William Shakespeare, il Bardo sapiente il cui nome è sinonimo di Teatro occidentale nella modernità, innumerevoli sono gli eventi, le commemorazioni, le pubblicazioni in tributo, ciascuna dedicata ad esplorare un differente aspetto della sua imponente produzione.
Nel vasto novero di saggi e riflessioni che abbiamo incontrato, sicuramente salutiamo la pubblicazione in italiano (Superbeat) del racconto biografico del grande Peter Ackroyd, una gemma pressoché obbligatoria, come un evento festoso.


Tra le pubblicazioni in italiano, ci ha particolarmente colpito L'immagine femminile in Shakespeare di Paolo Randazzo (Edizioni Terre Sommerse), forse perché affronta con puntuale preparazione uno degli aspetti per noi cruciali e più affascinanti della storia dell'arte: i diversi volti dell'Eterno Femminino.
Già avevamo affrontato la declinazione shakesperiana del tema su queste colonne, commentando lo spettacolo Shakespeare's Women QUI e intervistandone i protagonisti del Theatre of Eternal Values QUI


Un tema insidioso, dai molti risvolti contraddittori e ingannevoli, alle cui trappole Randazzo sfugge grazie ad una meticolosa ricostruzione delle fonti.
Il libro è di grande interesse in primo luogo dal punto di vista filologico, non solo perché sottolinea il dato (ben noto) delle fonti italiane del Bardo (Matteo Bandelloin primis), ma perché offre un agile confronto tra queste e l'elaborazione shakesperiana.
In questo modo, emerge la grande abilità del drammaturgo inglese di trasfigurare e rendere immortali storie precedentemente smarrite, destinate all'oblìo, il dono di saper estrarre il valore archetipico dal ritmo incessante e invariato delle vicende umane, cogliendo gli spunti più vividi e i "correlativi oggettivi" (per citare uno dei suoi grandi studiosi, T.S.Eliot) nelle infinite variazioni della "gran commedia del mondo".
Ecco, T.S.Eliot appunto rimarcava come l'opera di Dante fosse più universale, ma in Shakespeare ci fosse più varietà.

                                 

E questa varietà, ambigua, contraddittoria, sfuggente, animata da violenti contrasti eppure che appare perfettamente armoniosa ad uno sguardo superiore e panoramico, questi volti cangianti del diamante shakesperiano, ed i conseguenti giochi di specchio che essi creano, tutto ciò è la materia della trattazione di Paolo Randazzo.
L'autore, nei capitoli dedicati alle differenti eroine tragiche (Desdemona, Giulietta, Ofelia, Lady Macbeth), insiste su un punto: la grande ribellione culturale messa in scena dal Bardo, nei confronti della grettezza di un cosmo sociale ancorato a vetusti condizionamenti ormai marci, un golfo fuori dal tempo le cui acque stavano tristemente ristagnando (acque in cui, per altro, egli sapeva navigare benissimo).
Shakespeare contemporaneo (forse amico?) di Giordano Bruno, megafono (o maschera come ipotizzato?) di Bacone?
Tesi affascinante, è innegabile.
Noi ricordiamo le parole colme di saggio umorismo del maestro Shri Mataji Nirmala Devi, che in una conversazione privata disse che Shakespeare aveva avuto il ruolo di "esporre la futilità dell'insensatezza delle azioni umane". Pensiamo all'inazione di Amleto che è con tragica ironia fonte di strage, all'attaccamento folle di Romeo e Giulietta che induce al suicidio di entrambi, alla furia ottusa di Macbeth manipolato dalla sua shakti capovolta, alla cecità di Re Lear che premia l'ingiustizia e sprezza l'onestà, perdendo tutto...e potremmo continuare.
Un filo di sapienza eterna che lega Shakespeare a Omero e Dante, prima, e a Blake e Tagore dopo.
Lo sappiamo, è chiaro: c'è anche gloria, virtù, amore puro, eroismo, letizia nelle pagine immortali, immerse nel sogno, alate d'innocenza, ebbre di innamoramento delle commedie.
C'è la follia illuminata di Mercuzio, la beffarda rivelazione del Fool, la conversione e il tradimento, la vendetta e il perdono, il rancore e la santità.
Il tutto testimoniato col calmo sorriso del Sakshi.
C'è tutto, in Shakespeare, il respiro della Bhagavad Gita accennato in una battuta giocosa e definitiva: "Tutto il mondo è un teatro e tutti gli uomini e le donne non sono che attori: essi hanno le loro uscite e le loro entrate; e una stessa persona, nella sua vita, rappresenta diverse parti".
Come vi piace.
Per l'appunto.

                                            
                                                       
Concludiamo con una riflessione di Randazzo su Shakespeare che ci sembra possa riassumere (e invitare il lettore ad approfondire) la ricchezza dei significati del volume: "Tutto ciò che egli toccò divenne assolutamente nuovo e originale, egli fece affiorare indimenticabili immagini femminili che, nel bene e nel male, sono la mimesis della realtà più vera e profonda della donna. Inoltre rappresentò il rapporto uomo-donna facendo risuonare corde profonde che normalmente vengono paralizzare dal pensiero occidentale fondato sulla ragione".



TUTTI GLI ARTICOLI DI AGOSTO E SETTEMBRE

$
0
0

Care lettrici, cari lettori,
dopo aver mantenuto un ritmo di quasi un articolo pubblicato ogni due giorni nei mesi precedenti, ad Agosto, per una volta, ci siamo conformati al sentire comune, rallentando di molto il ritmo consueto (ripreso immancabilmente ad estate conclusa).

Su Il Fatto Blog abbiamo parlato dei due romanzi I Misteri di Montecitorio di Ettore Socci  e Casta diva di Girolamo Rovetta QUI


Su minima&moralia del grande omaggio a William Blake organizzato dall'associazione InnerPeace QUI 
                                             

Su spezzandolemanettedellamente
- l'omologo articolo dei mesi precedenti  QUI
- abbiamo parlato degli Area e dei Genesis QUI
- abbiamo parlato di diversi aspetti dell'archetipo della Grande Madre QUI

                                        
- abbiamo proposto una riflessione sui racconti di Carlo SperdutiQUI
- abbiamo affrontato l'adattamento pirandelliano di Lorenzo BianchiQUI


 A Settembre, mese "del ripensamento sugli anni e sull'età", abbiamo invece pubblicato:


Su DATE*HUB  il nostro paradossale resoconto della mostra su Barbie QUI


Su La Repubblica XL abbiamo raccontato le nostre impressioni sulla biografia di Kim GordonQUI


Su Fumettologica:
- la recensione dello spettacolo di Monster AllergyQUI
- uno sguardo sull'interessante debutto di Adam TempestaQUI
- un commento al volume Volti di Barbato e Cavallerin QUI


Su Il Fatto Quotidiano blog:
- abbiamo parlato di C.S. Lewis e TolkienQUI
- abbiamo esplorato il mistero del Teatro giapponese, con la guida di PoundQUI


Su minima&moralia:
la conversazione sul mistero della morte di Pasolini con Grieco, Benedetti e Giovannetti QUI                                           

- la conversazione con Paco Ignacìo Taibo IIQUI


Su spezzandolemanettedellamente:
- abbiamo parlato del fumetto su Aldo ManuzioQUI
- abbiamo segnalato le pagine di Einstein su Lucrezio QUI

Molto presto pubblicheremo il riassunto dei due mesi successivi!

L'attualità de "Il rinoceronte" di Ionesco al Teatro India

$
0
0

Eugène Ionesco non è solo La Cantatrice Calva, un testo di straordinaria intelligenza introspettiva a cui l'abusata etichetta di Teatro dell'Assurdo appare insopportabilmente stretta: come sentenziò genialmente Giovanni Casoli, ben lungi da una parodia satirica della vita borghese, in essa riconosciamo "la più grande tragedia del Novecento".
In anticipo su Antonioni (il dramma dell'incomunicabilità), su Lynch (l'inquietudine del grottesco nel quotidiano), su tutta la rivolta antiborghese degli anni '60 e '70 (pensiamo ai brani più provocatori di Zappa o agli sketch più arditi dei Monty Python), Ionesco ha messo in scena il Nulla dell'esistenza contemporanea, ritmata da falsi rituali svuotati di senso (come nella prima pagina dell'Ulisse di Joyce), convenzioni formali assassine del vero (in questo vicino a Camus), l'insignificanza del labirinto linguistico (ben prima degli strutturalisti).
L'apparente ghigno di Ionescoè, per noi, superiore alla desolazione infinita (e a tratti compiaciuta) di Beckett.
In lui, c'è la memoria di una luce spirituale, di una conoscenza smarrita, un profondo senso di Caduta, più gnostico che esistenzialista.
Ne è conferma l'interessantissimo diario degli anni della maturità La Ricerca Intermittente, in cui fin dal titolo Ionesco si dichiara autore lontano dalle certezze nichilistiche di Beckett, in grado di mettere costantemente in discussione il proprio percorso: accanto al Pater Noster figurano nel libro aforismi degni del Cioran più nero.
Ecco, Ionesco appare, a volte, l'aureo equilibrio (in bilico tra scetticismo della ragione e intuizione spirituale) fra gli altri due geniali romeni padroni della lingua francese, il custode sapiente della Tradizione Mircea Eliade e il cupo negatore d'ogni senso Emil Cioran.

Tutto ciò si ritrova ne Il rinoceronte, per Ionesco, come per il grande contemporaneo Camus fu La Peste, esso è l'irruzione dell'assurdo nell'esistenza.
Se nel capolavoro di Camus l'attenzione è volta alla pietà umana, al dialogo (im)possibile tra Fede e Ragione, superato leopardianamente nella comune resistenza al Male, Ionesco gioca ancora la carta del grottesco, dell'iperbole comicamente tragica, in cui l'apparente incrinatura della normalità sociale assume progressivamente i caratteri apocalittici di una inesorabile distruzione.
In tempi in cui l'attualità politica contrappone uno stantìo gattopardismo di regime al crescere rabbioso di forme di populismo difficilmente controllabili, crediamo che la visione "assurda" di Ionesco sia più puntuale e illuminante per interpretare il reale rispetto alle analisi spocchiose e sterili degli opinionisti di professione.

Una vetta del Teatro del Novecento su cui promettiamo di tornare con maggiore profondità.
Per ora, ci limitiamo a segnalare che stasera 13 Dicembre al Teatro India di Roma sarà possibile seguire il progetto Domino, ideato e realizzato dai giovani registi Irene Di Lelio e Manuel Capraro.
Le produzioni sono due e indipendenti: Fabrizio, scritto e diretto da Manuel Capraro, con Antonello Azzarone, ed appunto Il rinoceronte, per la traduzione di Giorgio Buridan e la regia Irene Di Lelio, con Gabriele Abis, Antonello Azzarone, Giulia Carpaneto, Luca Mazzamurro, Lorenzo Tolusso.
Buona Visione.

TUTTI GLI ARTICOLI DI OTTOBRE E NOVEMBRE

$
0
0




Pico della Mirandola, protettore dei bibliofagi
Care lettrici e cari lettori,
prima del grande riassunto annuale, ecco l'ultimo blocco bimestrale di articoli pubblicati su varie testate.

Ad Ottobre abbiamo pubblicato:

Su DATE*HUB
- la nostra recensione del giocone di Gipi, BrutiQUI

Su FUMETTOLOGICA 
- le nostre riflessioni sul volume Einaudi La RabbiaQUI

Mentre ricevo l'iniziazione bruta da Gipi
Su REPUBBLICA XL

- le nostre argomentazioni a favore del Nobel a DylanQUI
- la nostra intervista a Peter Murphy dei BauhausQUI
- il nostro incontro con ElioQUI
Elio e il sottoscritto in una gara di bellezza
Su il Blog de Il Fatto Quotidiano
- abbiamo parlato della sindaca di Barcellona Ada Colau QUI


Su spezzandolemanettedellamente:
- abbiamo parlato dell'evento allo Spazio Cima su Anna Magnani QUI
- abbiamo confrontato le figure della Dea Laskhmi e della Venere botticelliana QUI


Nel mese di Novembre, invece abbiamo pubblicato:
Su FUMETTOLOGICA
- l'intervista collettiva sugli stereotipi sessisti QUI
- la recensione del Golem di Artibani e Dell'Edera QUI
- la recensione di The Passenger di Rizzo e Bonaccorso QUI



Su REPUBBLICA XL
- il nostro commosso tributo a Leonard CohenQUI


Su Minima&Moralia ben quattro conversazioni:
- con Giovanna MariniQUI
- con Elena ArvigoQUI
- con Teho Teardo e MP5QUI
- con Lauren Groff QUI

Sul Blog de Il Fatto Quotidiano
- abbiamo parlato di Robert DarntonQUI
- la doppia recensione sui due ultimi audiolibri di Paolo Poli QUI


Su spezzandolemanettedellamente
- abbiamo parlato di Feng ShuiQUI
- abbiamo recensito lo spettacolo di maicol&mirco QUI
- abbiamo invitato all'esplorazione dell'universo femminile in ShakespeareQUI



A presto per nuove letture!



Appunti su 21 libri interessanti (anzi 24)

$
0
0

  



Care lettrici e care lettori,
chiariamo subito: questa non è una classifica.
Sono appunti volanti su libri che ho letto nel corso dell'anno sui quali ho desiderato, e tuttora desidero, scrivere di più, approfondire, riflettere.
Mi è stato chiesto di stilare per altre testate liste di fine anno, seguendo parametri  più strutturati, criteri di equilibrio e visione ampia del panorama editoriale.
Queste sono libere note sul mio diario virtuale.
Ci sono libri che ritengo fondamentali, altri che segnalo per la loro originalità, altri perché li sto leggendo in questo momento e stanno meritando la mia attenzione.
In realtà quasi ogni giorno vi segnalo libri, dischi, film, mostre, spettacoli teatrali, eventi.
Il nostro umile ruolo è avvistare scintille di luce nelle tenebre.

Basta premesse, ora, procediamo.

Per chi ama riflettere




1) Notas, Nicolas Gomez Davila (Circolo Proudhon) 
   in due volumi
Spesso citato a caso come un banale aforista cinico, Gomez Davila è un raffinato artista del pensiero, rappresentante di quel pensiero reazionario alto, nobile, lontano dalla mia visione socio-politica, ma senza dubbio degno di una ponderata riflessione.



2)Storia di Pi Greco, Pietro Greco (Carocci)
Che belli i libri di divulgazione, che abbattono barriere, svecchiano definizioni, aprono la mente. Questo si inserisce prepotentemente nel benedetto novero.



3) Francis Bacon. Logica della Sensazione, Gilles Deleuze (Quodlibet)
Un testo da rileggere periodicamente, tra le vette della prosa di Deleuze, che trova in Bacon un perfetto fratello artistico. Lontano da certe ridondanze compiaciute del pensiero post-strutturalista, qui si trovano parole pressoché definitive su un artista limite del Novecento.



4)Kojève mon ami, Marco Filoni (Aragno)
Chi scrive non può certo definirsi un amante del pensiero di Hegel. Ma, in un'ideale legame con l'articolo affine dell'anno precedente, senza le lezioni di Kojève non avremmo avuto il brillante corpo a corpo di Bataille con il gigante dell'idealismo moderno (raccolte sempre per Aragno da Massimo Palma in Piccole ricapitolazioni comiche). Marco Filoni è guida esperta e illuminante.



5) Una vita con Cioran, Simone Boué (Scuola di Pitagora)
Se non amiamo l'assertività hegeliana, nemmeno ci esaltiamo per quella eguale e contraria di Cioran, il nichilista professionale, il negatore sistematico. Grande penna, ma per noi limitato pensatore.
Qui appare nel suo volto intimo, toccante, autentico.
Rivelatore.


Per chi è in ricerca




1) Dal naufragio di Europa, Ezra Pound (Neri Pozza)
Benché Pasolini prima e Cacciari poi abbiano imposto la visione ardente e apocalittica di Pound all'attenzione dell'intellighenzia di sinistra, purtroppo il suo cognome evoca ancora imbecilli rasati e complottardi decerebrati. Invece, è una delle più grandi menti letterarie del Novecento. Qui si raccolgono pagine di bellezza travolgente.
Leggetelo, strappate la sua grandezza dalle grinfie degli idioti.


2) La filosofia del culto, Pavel Florenskij (sanpaolo)
Florenskij ci ha cambiato la vita, da quasi vent'anni.
E continuiamo a scoprire sapienza e bellezza in quel giacimento filocalico che è la sua opera immensa.
Ogni pagina, un'epifania.


3)Il cacciatore celeste, Roberto Calasso (Adelphi)
Ennesimo libro di Calasso, ennesima tappa obbligatoria per chi sa cercare fuori dagli schemi.
Al di là del godimento squisitamente estetico della prosa dotta e raffinata, lo sguardo al di là del tempo e dello spazio di Calasso riesce a illuminare il presente recuperando con magistrale perizia filologica le pagine più affascinanti del passato.
Come le Metamorfosi di Ovidio.
4)Il silenzio della mente, Ramesh Manocha (La Cultura della Madre)
Prendete questo libro e inchiodate alla lettura tutti gli spocchiosi razionalisti che deridono le pratiche meditative. Uno studioso di alto livello, studi rigorosi, risultati innegabili.
I dogmi del materialismo mostrati nella loro miseria di specchio negativo di quelli religiosi.
Fuori dai dogmi, aria fresca nel cervello.
Leggetelo e vivete una vita migliore.


5) Essere o Vivere, Francois Jullien (Feltrinelli)
Anche qui siamo in quell'area intellettuale dove l'intelligenza snobba le etichette, conosce e compara, apprezza e comprende diversità, sfumature, variazioni, convergenze.
In un momento di scontro fra civiltà, questo confronto tra Oriente e Occidente in venti contrasti (venti occasioni di dialogo) andrebbe studiato a scuola.

Per il piacere della lettura


1)L'armonia segreta, Geraldine Brooks (Neri Pozza)
Feroce e alata narrazione sullo splendore di Re David: raccontato dal suo profeta, dilaniato dal proprio dono, diviso tra sdegno per l'ingiustizia e consapevolezza della volontà divina.
Potente e coraggioso.


2) Atlante dei paesi sognati, Dominique Lanni (Bompiani)
Idea incantevole: tracciare le mappe dei luoghi immaginari (o vagheggiati) della storia della letteratura mondiale. Da Esiodo a Marco Polo, e ben oltre.
Per amanti del viaggio e del sogno.


3)  Des mois, Tommaso Landolfi (Adelphi)
Di Landolfi leggeremmo pure la lista della spesa, convinti di scoprirci un acrostico occulto in terza rima. Riflessioni libere, intuizioni improvvise, appunti volanti, note quotidiane: il laboratorio di un maestro di stile, le confessioni di un pensatore tormentato.


4) La forma fragile del silenzio, Fabio Ivan Pigola (Edizioni della Sera)
Difficile per noi esaltarci con la letteratura italiana contemporanea.
Ci siamo fidati però delle Edizioni della Sera, sempre attente a scovare gemme nascoste.
Non ci siamo pentiti.





5) Legami Feroci, Vivian Gornick (Bompiani)
Un'autobiografia emotiva in forma di racconto, un'educazione sentimentale in forma di confessione.
Una scrittrice esperta affila le sue armi per il confronto con la sua vita ed i suoi affetti, in primo luogo la figura adorata e ingombrante della madre.
Da leggere soprattutto per la scrittura appassionata, spietata, vibrante.

Per chi ama i fumetti


1) Dieci elegie per un osso buco, Leila Marzocchi/ Pinko Zeman (Coconino)
Lo so, è uscito un anno fa.
Ma è comunque uno dei fumetti migliori degli ultimi due anni.
Solo per il titolo meriterebbe la candidatura al Premio Strega.



2) Storie di un'attesa, Sergio Algozzino (Tunué)
Giocato su piani diversi di narrazione, incastrati con eleganza, il libro di Algozzino offre una notevole prova di controllo formale. L'intreccio seduce e rivela, come narrazione riuscita deve fare. Colto e misurato.




3)Glenn Gould - una vita fuori dal tempo Sandrine Revel (Bao publishing)
Un omaggio a fumetti non convenzionale, composto di ipnotici silenzi, malinconica introspezione, improvvisi invasamenti, puntuali richiami biografici, a una delle figure più carismatiche dell'Arte del Novecento.
Era facile scivolare nella retorica, nel trionfalismo, nella caricatura agiografica.
Trappole evitate con rigore ed eleganza.



4)La repubblica del catch, Nicolas de Crecy (Eris)
Grottesco, brillante, originale: che gran fumetto!



5) Mezolith, Ben Haggarty/Adam Brockbank (Diabolo)
Incubi ancestrali, traumatiche iniziazioni, simboli a profusione, furia e innocenza.
Mentre lo abbiamo letto, ci siamo sorpresi a fare il tifo.


Ed ecco tre libri fuori definizione


-  My Generation, Igort (Chiarelettere)
Igort dovrebbe essere dichiarato dall'Unesco patrimonio dell'umanità.
Il pregio minore del libro è che è scritto benissimo.
Si tratta di un documento di straordinario interesse: anni cruciali del recente passato, raccontati da un testimone (e protagonista) d'eccezione.




- Tagliare le nuvole col naso, Elle Frances Sanders (Marcos y Marcos)
Dopo il successo di Lost in Translation, ecco il proseguimento del discorso interculturale dell'autrice, sempre con la traduzione impeccabile di Ilaria Piperno.
Un viaggio nei modi di dire di tutto il mondo, alla ricerca della sapienza popolare, geniale a tutte le latitudini.
Un talismano contro l'ignoranza.





- Vita con Lloyd, Simone Tempia (Rizzoli Lizard)
Un'oasi di umorismo garbato in un deserto di urla e volgarità.


Buone Feste!


Viewing all 110 articles
Browse latest View live