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TUTTI GLI ARTICOLI DI DICEMBRE




Care lettrici, cari lettori,
Ecco il riassunto degli articoli di Dicembre pubblicati su varie testate.

Su Repubblica XL:
- abbiamo stilato con Gianmaria Tammaro la Top 10 dei migliori fumetti del 2016 QUI


Su Minima&moralia:
- abbiamo intervistato Massimo Popolizio sul suo rapporto con Pasolini, Roth e Luca Ronconi QUI

- abbiamo partecipato alla lista collettiva dei libri del 2016 QUI


Su il Blog de Il Fatto Quotidiano:
- abbiamo parlato di come in Eros e Priapo di Gadda ci siano delle spiegazioni illuminanti sul presente QUI



Su spezzandolemanette:
- il riassunto degli articoli di Agosto e Settembre (da Blake ai Genesis, da Tolkien a Pound, da Aldo Manuzio a Einstein) QUI 



- una riflessione su Il Rinoceronte di Ionesco QUI



- il riassunto degli articoli di Ottobre e Novembre (da Gipi a Dylan, da Elio a Leonard Cohen, da Lauren Groff a Robert Darnton) QUI



- una serie di appunti su alcuni libri che ci hanno colpito nel 2016 QUI

Buona lettura e buon anno a tutti i miei venticinque lettori!

Da Tasso a Pasolini, passando per Sade (ed Eleusi)



A Leopoldo Carloni

Ieri sera al Teatro India di Roma il cartellone ha offerto una serata di particolare interesse, forse più per le stimolanti suggestioni concettuali dell'accostamento fra i due spettacoli in scena che per la riuscita degli stessi.
Parliamo di Aminta - S'èi piace ei lice, ispirato alla fiaba pastorale di Torquato Tasso, e Orgia di Pier Paolo Pasolini, crudissimo testo del 1968 in cui già affiora la riflessione tra violenza e Potere che esploderà in Salò - Le Centoventi giornate di Sodoma e che ritroviamo nelle pagine più tremende di Petrolio.


Cosa lega questi testi così distanti? Cosa lega la classica compostezza rinascimentale dei versi del Tasso alla confessione ferina e crudele di Pasolini? Cosa lega l'atmosfera arcadica e leggiadra, sospesa fra castità sdegnosa e richiamo dei sensi, della vicenda di Silvia con le ripetute umiliazioni carnali a cui viene costretta programmaticamente la moglie del protagonista di Orgia?
C'è un legame, in una figura nerissima e imprevedibile: il Marchese de Sade.
O, se volete, il suo opposto metafisico: Dante Alighieri.

No, non mi riferisco alle scene di stupro (scampato in Aminta, reiterato bestialmente in Orgia) presenti nelle due opere originali e poste in scena nelle due rappresentazioni (in maniera paradossalmente più urtante nel primo caso).
Mi riferisco a un filo rosso concettuale, di cui sono debitore a uno dei miei grandi maestri, quel grande intellettuale, cristiano illuminato, che è Giovanni Casoli.
Il verso "S'ei piace, ei lice", con sprezzatura lasciato cadere dal Tasso nel ritmo armonioso delle rime leggiadre, è in realtà un manifesto programmatico che sancisce, nella storia della letteratura, una frattura tra etica ed estetica.
La visione per cui Dante poneva "Cleopatràs lussuriosa" nel V° dell'Inferno ("che libito fé licito in sua legge"), diviene, nei fasti spensierati della corte estense, completamente  rovesciata, in un apparente richiamo alla "lieta giovinezza" medicea, evocata il secolo precedente.
Tasso, come il più scaltro dei personaggi di Shakespeare, dice ciò che non si può dire tra gli applausi della corte: nell'elegante cornice dell'Età dell'Oro, nel racconto giocondo della vicenda di Silvia (nome che ispirerà i versi celebri di Leopardi), sacerdotessa di Diana che alla fine cede alle lusinghe di Natura e Amore, distrugge concetti fondanti della cultura cristiana europea d'allora, come onore e castità.
A rigore, queste sono le premesse che conducono, sviluppate nel frattempo dai filosofi libertini, a Sade: "S'ei piace, ei lice". Se dona piacere, è lecito.
Arriverà solo dopo Freud, a fornire false giustificazioni pseudo-scientifiche.
Non  a caso, il verso è titolo dello spettacolo, slogan e mantra, addirittura tatuato all'inizio della rappresentazione sul dito di uno dei registi/attori.


La rappresentazione, dunque, ha il pregio di riportare al centro dell'attualità un testo straordinario, e coglierne intelligentemente la potenza culturalmente rivoluzionaria, con un attento lavoro di scavo filologico.
Dall'altro, molte cose ci hanno lasciato perplesso della rappresentazione: se apprezziamo l'idea di una versione contemporanea, che rompa la convenzione recitativa in un "percorso visuale e sensoriale" dell'opera (riprese in esterna che si legano a presenze mute sulla scena, proiezioni su teli, voci registrate emesse da inquietanti megafoni, effetti sonori assordanti, giochi di luci e vento), non ci ha entusiasmato la realizzazione.
Non basta la bellezza dei tratti rinascimentali di Clelia Scarpellini, in un elegante vestito trasparente, a rendere lo sdegnosa fierezza di Silvia, non bastano alcune riprese in esterna a Villa Pamphili a ricreare l'ambientazione arcadica, non convince la scena di rappresentare il tentato stupro da parte di un satiro con le immagini della ragazza che si dimena seminuda legata sullo schermo, mentre un bodybuilder mostra la sua feroce muscolarità sulla scena.
Le intuizioni sul gioco sinestetico sono valide (le doppie voci registrate, che echeggiano un super-io paradossalmente in vece di Es, non possono non far pensare all'Erodiade interpretata simultaneamente da Lydia Mancinelli e Alfiero Vincenti nella Salomé di Bene) ma l'estetica appare al nostro gusto troppo laccata, i personaggi sembrano uscire dalle pagine di riviste di moda più patinate e il senso dell'opera secondo noi non è approfondito come promesso nel convincente inizio.

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Licia Lanera in Orgia
Il legame sadiano ci conduce alla seconda rappresentazione, paradossalmente più convenzionale ed equilibrata, pur nella estrema crudezza dei contenuti esposti.
Licia Lanera, regista e protagonista, sceglie coraggiosamente di dominare la scena, in entrambi i ruoli (marito carnefice e moglie vittima), condividendola solo nella seconda parte con Nina Martorana, nel ruolo della prostituta che scampa al massacro.
Lo sforzo è notevole, il gioco di contrapposizione tra lo squallore delle violenze evocate in scena e lo splendore delle tele che fanno da sfondo (Lorrain, Caravaggio e Furini) è facile (soprattutto nel caso della Maddalena caravaggesca) quanto efficace.
Licia Lanera sceglie per la sua versione del testo, delirante e spietato, un tono confidenziale, emotivo, tra lamenti infantili e animaleschi della vittima e la folle serenità programmatica del boia, assieme a una serie di scelte (dal vestiario alle musiche) appartenenti all'immaginario rap e hip hop; non esattamente scelte che avremmo consigliato.
Come anche certi ammiccamenti alla pornografia ci sembrano superflui; uno potrebbe dire: "Ma come? Si tratta di un testo che parla di sesso estremo e violento!". Appunto, non c'è  bisogno di caricarlo ulteriormente con pose cagnesche e ovvie allusioni con microfoni e yogurt.
Più riuscita, invece, ci appare la scelta di mimare la violenza subita nei corpi nudi e offesi, spasmodicamente rantolanti sul palco, nella camera nuziale che diventa tana e prigione.
Siamo però qui nell'ambito del gusto personale, lo spettacolo merita comunque apprezzamento per il coraggio di portare in scena un testo difficile, duro, violento, scandaloso.
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La Grotta di Plutone ad Eleusi
Il testo, oltre a riproporre i temi chiave della riflessione apocalittica pasoliniana (lo smarrimento della sacralità del mondo arcaico contrapposto al genocidio culturale della Neo Preistoria capitalistica), fa da trait d'union nella deriva freudiana dell'ultimo Pasolini, tra Teorema e Salò.
Parliamo di un testo scritto nell'anno chiave 1968, in cui Pasolini, sempre avanti ai tempi, non solo prenderà come è noto le distanze dalla contestazione studentesca (frutto, ricordiamo, di una innaturale alleanza rossobruna), ma inizierà a svelare il trucco borghese della cosiddetta "rivoluzione sessuale".
Emerge, nel testo, non solo la seduzione estetica che ha intrappolato il poeta nella spirale autodistruttiva del sadomasochismo (il protagonista sa che "questo è Male" ma non sa resistere poiché esso è per lui "infinitamente più bello di ogni Bene"), ma soprattutto, emergono delle illuminanti definizioni: l'orgia animalesca con cui il protagonista vuole "morire" uccidendo la moglie (e la sua dignità) viene presentata prima come "spettacolo", viene sottolineato ossessivamente come tutto non sia "un gioco".
Ma ciò che ci interessa è che nel testo a un certo punto affiori come lo stupro sistematico e la distruzione della famiglia siano vissuti come "una cerimonia".
Non è un'espressione casuale: tornerà dichiaratamente in Petrolio.
Su questo non possiamo non citare le riflessioni di Emanuele Trevi in Qualcosa di scritto, libro interessantissimo, metà gustosamente autobiografico (l'autore descrive i suoi anni al Fondo Pasolini, accanto alla furiosa, folle decadenza di Laura Betti), metà ardito saggio sul significato segreto di Petrolio (e di Salò).
Rimandiamo a una centratissima recensione di Pietro Citati QUI per uno sguardo d'insieme sul libro.
Un testo che consigliamo a chiunque sia interessato alla figura del poeta ucciso.
Anche se non condividiamo il disprezzo di Trevi per le tesi "complottistiche" (ci sembra eccessivo sostenere che a Pasolini di Cefis non fregasse nulla), troviamo di grande interesse le intuizioni sul legame tra metamorfosi e violenza rituale in Petrolio, considerate come ricerca e recupero dei Misteri Eleusini.
Già in Orgia, prima di Petrolio, è presente la metamorfosi sessuale tra Uomo e Donna.
Scrive Trevi: "Diventare donne, da uomini che si era: questa è la suprema, la perfetta, la decisiva metamorfosi. È la porta stretta che deve imboccare qualunque iniziazione veramente efficace".
Linguaggio evangelico: dalla equivalenza Lenin/Cristo Pasolini si muoverà verso le spire della follia sacra, in un percorso a ritroso del percorso di trasmissione dei rituali e dei simboli.
Tema cruciale, illuminante e, per noi, che non contraddice per nulla il fatto che Pasolini possa essere stato ucciso per motivi politici.

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Emanuele Trevi

Non ci sediamo fra complottisti o mistici nel gran calderone delle tesi sulla morte di Pasolini: l'analisi della complessità nelle ricerche simboliche di Pasolini non va derubricata a mistificazione, la volontà di cercare la verità sull'omicidio non può essere bollata come paranoia.
Entrambi i filoni intraprendono sentieri di ricerca fondati da evidenze.
Nel caso di Trevi (che conclude il suo atipico romanzo/saggio/diario con un reportage commovente e straniante proprio da Eleusi, un ateo alla ricerca del sacro smarrito) riportiamo una delle definizioni più suggestive dell'ultima opera incompiuta di Pasolini: "fin dal momento della prima concezione, è un libro sacro, un annuncio, una rivelazione. Le gesta sovrannaturali dei suoi burattini allegorici rimandano a un processo in atto, a una verità che sta accadendo".

Dunque, al di là della riuscita dei singoli spettacoli, confermiamo come la programmazione del Teatro India sia sempre feconda di spunti, riflessioni, sguardi non consuetudinari, un laboratorio di sperimentazione culturale che merita sempre uno sguardo attento.


La via del vizio - la novella moralistica del giovane Bram Stoker


Bram Stoker, pur avendo creato con Dracula una delle figure più iconiche della letteratura moderna, non può essere certo annoverato tra i supremi maestri di stile della letteratura moderna.
Nelle sue pagine non ritroviamo lo scavo psicologico di E.A.Poe, la diabolica immaginazione di Lovecraft, lo slancio travolgente di Mary Shelley, il delirio parossistico del "monaco" M.G. Lewis, men che mai il magistrale possesso della tensione narrativa di Henry James.

La creazione del suo romanzo più celebre, composto sotto forma di frammenti epistolari e note di diario, è chiaramente ispirata al precedente de Il Vampiro di Polidori.
Sono note le circostanze che videro nella stessa notte "buia e tempestosa" riunirsi Byron, il suo segretario Polidori, appunto, Shelley con la sua futura moglie Mary, assieme alla sorellastra di quest'ultima, in una villa a Ginevra: una notte in cui l'Inconscio Collettivo, complice una gara letteraria sorta in seguito alla lettura dell'antologia tedesca Fantasmagoriana, concesse nella stessa casa l'accesso a due figure archetipiche, Frankenstein alla Shelley e Il Vampiro a Polidori.
Stoker scriverà Dracula sessantuno anni dopo quel supremo momento di creatività oscura: il suo libro più famoso in realtà chiude il grande fiume sotterraneo del racconto gotico, che avrà i suoi campioni, oltre agli autori citati, in Horace Walpole e Charles Robert Maturin.

Ma il suo esordio letterario era avvenuto ventidue anni prima di raggiungere il proprio picco creativo.
Ed è proprio questa rarità letteraria che viene finalmente tradotta in italiano da Edizioni della Sera, casa editrice che ci ha ormai abituato ad anomale preziosità.
Il libro si chiama La via del vizio, e come il titolo rivela si tratta di un cupo apologo moralista, sulla scorta di un naturalismo spietato che in quegli anni stava raggiungendo il suo culmine grazie al genio inflessibile che scandiva la prosa chirurgica di Émile Zola (Il ventre di Parigi uscì tre anni prima, L'Ammazzatoio un anno dopo).
La parabola è quasi da memento mori, da exemplum medievale (non a caso l'ispirazione si dice "gotica") in negativo,  tecnicamente si tratta di una temperance novel, o meglio di una novella a tesi, volta a mostrare le conseguenze del bere: una coppia felice e serena, piena d'amore e di speranze, perderà l'innocenza primordiale quando il marito si recherà nella diabolica Londra, covo d'ogni vizio, ove in breve conoscerà alcool, gioco d'azzardo, lussuria, fino a scendere ogni grado dell'abiezione.
Scontata la tragedia finale autodistruttiva.

Nella traduzione si smarrisce una dotta citazione dall'inizio dell'Amleto: The Primrose Path, il sentiero di primule calpestato da coloro che non obbediscono alla morale.
Parole tristemente profetiche che Ofelia rivolge a Laerte.
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Ofelia secondo J.W.Waterhouse, 1894
Ma è la stessa ottima cura di Elisa Bolchi a rivelarcelo, nella interessante traduzione che rende più apprezzabile la lettura di un testo non certo memorabile per originalità o lodevole per assenza di schematismo.
Ciò che interessa è però riconoscere lo stile germinale dell'autore destinato a una fama duratura, entrare nel laboratorio giovanile della mente di Stoker, dove già si delineano alcuni luoghi interiori, alcuni trucchi narrativi, alcune astuzie che ritroveremo nel più celebre romanzo ispirato a Vlad l'Impalatore.

Stoker scrisse diciotto libri, ma la grande massa dei lettori ne conosce solo uno.
Questa è l'occasione per esplorare i suoi primi tentativi con la misura del racconto lungo, i suoi passi iniziali nell'analisi dei meccanismi di perversione dell'animo umano.
Una lettura che, pur nei suoi limiti estetici, consigliamo come dovuta a tutti gli appassionati e studiosi della letteratura del terrore.


Da Omero a Shakespeare: ha ancora senso il massacro dei classici?



Tutto il Novecento ha applicato ossessivamente la rivisitazione dei testi classici, una corsa inizialmente avventurosa, un'impervia scalata alle vette da dissacrare, divenuta presto rassicurante promenade borghese nella prassi abusata e fintamente originale della cultura di massa.


La triste parabola del postmoderno: dall'oltraggio delle avanguardie, passando per i grandi visionari diversamente apocalittici (Artaud, Bene, Pasolini, in misura diversa Beck e Barba), fino all'impoverimento contemporaneo.
Il brivido blasfemo di un  Buñuel mantiene, nel rovesciamento programmatico, il senso della sacralità degli archetipi: La Voie lactéeè un comodo prontuario gnostico.
Ciò che non si può dire per nessuno dei Romeo e Giulietta in jeans e maglietta che ci sono stati inflitti negli ultimi trent'anni.

"Massacro dei classici", questa la potente definizione di Bartolucci, applicata al primo Bene, quello che inscenava la Salomé di Wilde con Franco Citti nei panni di Giovanni Battista, rendendo le cantine trasteverine templi del Grande Teatro, per la delizia di Flaiano e Arbasino, il fastidio di Visconti, il fascino e il rispetto di Pasolini ed Elsa Morante.

"Ero un ragazzo, allora", risponderà CB al grande Bruno Zevi, che evocava tale definizione: certo uno sguardo efficace ma non comprensivo della sua opera di rivoluzione teatrale.

Ma, al giorno d'oggi, nel quale è praticamente impossibile assistere ad una rappresentazione lirica, teatrale o cinematografica che non ceda alle lusinghe di una attualizzazione "contemporanea" o conformisticamente dissacrante, invece di aderire filologicamente alla forma classica, tutto ciò ha ancora senso?
Di Bene, di Pasolini, di Buñuel, ne nascono pochi.
Scimmiottarli è un pessimo servizio, in primo luogo alla loro memoria, prima che ai classici banalmente "rivoluzionati".

Queste riflessioni nascono dalla visione di Odissea A/R al Teatro Argentina, per la regia di Emma Dante.
La Dante è regista abile, intelligente, fautrice di una ricerca senza dubbio interessante.
Stavolta, però, il massacro del classico appare forse involontario.


 Lo spettacolo può vantare tutti i pregi e le caratteristiche della ricerca "dantesca": interessante utilizzo dei corpi in scena, complesso gioco coreografico di sincronie e giochi visuali creati dalla coralità fisica dei soggetti, uso creativo e brillante del vernacolo siciliano, una certa seducente freschezza espressiva.
Molte le risate (facili) e gli applausi (generosi) strappati a scena aperta.
C'è però un problema: stiamo parlando dell'Odissea di Omero.
Per un caso beffardo, abbiamo visto lo spettacolo il giorno dell'anniversario di James Joyce, un autore che sulla rivisitazione dissacrante del poema omerico ha costruito un monumento all'(anti)letteratura.

Nel pieno rispetto della carriera della regista, ci sentiamo di affermare senza timore: non si può affrontare un classico fondativo della cultura occidentale ignorando (se non disprezzando) il valore sacro degli archetipi.
Comprendiamo la volontà di rendere attuale, viva, pulsante, contemporanea la perenne urgenza della vicenda mitica: ma ciò può avvenire solo nella luce eterna, e per ciò perennemente attuale, del simbolo intatto.
Vedere Atena come una Sora Cecioni sicula, Hermes come un frivolo gay da caricatura o Zeus come un palestrato vanesio può farci sorridere in una versione del Trio Marchesini-Solenghi-Lopez.
Da una regista della cultura di Emma Dante ci aspettiamo di più.
L'unica scena che ci ha convinto è stata quella del canto Rapimi la porta di Bruno Di Chiara, davanti a Penelope seppellita dal suo telo (divenuto sudario attraverso un'intuizione brillante ma tirata forse un po' troppo per le lunghe), in cui la poesia del vernacolo siciliano evoca il contrasto tra crudeltà e innocenza del canto del pappone napoletano prima della violenza sulla prostituta traditrice in Accattone.

Una scena che Pasolini definì "idillio" rispetto al successivo massacro del Circeo, segnando nettamente la "mutazione antropologica" drammaticamente avvenuta.
Ma Pasolini (colui che fece interpretare Tiresia da Julian Beck, Creonte da Carmelo Bene, coraggiosamente Giasone dall'atleta olimpico Giuseppe Gentile e meno scandalosamente Medea da Maria Callas) era il primo ad essere "scandalizzato dalla mancanza di senso del sacro" dei suoi contemporanei.
Concludo sullo spettacolo di Emma Dante, sottoscrivendo le parole puntuali di Chiara Babuin:
"Lo spettacolo non ha il senso del Sacro (e, se peschi a piene mani da uno dei poemi mitologici per eccellenza, è grave); gli dèi, le rare volte che appaiono, sono trattati in maniera macchiettistica (che poi, il bello della mitologia è che le divinità sono sempre personaggi con determinate caratteristiche, ma non sono mai stereotipi); la natura, espressione della volontà e dei capricci divini, non è mai veramente agente, declassata a mero accenno nei discorsi dei personaggi.
La sensazione è che la Dante abbia ridotto la mitologia a dramma borghese (...) soprattutto, a questo spettacolo manca il pathos; e le musiche contemporanee che ogni tanto imbellettano (inutilmente) la scena non fanno altro che smorzare ancora di più qualche accenno di emozione.
Un vero peccato, perché gli attori hanno dimostrato di avere una preparazione al canto, alla danza, alla respirazione e alla recitazione davvero notevole: Emma Dante è infatti famosa per creare poetica attraverso i corpi, eludendo il linguaggio verbale - epifanico in ciò, il suo MPALERMU del 2001.
Ma questa volta no, non ci è riuscita. ODISSEA A/R sembra una forzosa e forzata lettura contemporanea del poema omerico, che però lascia nella sua epoca antica il dissidio esistenziale dell'uomo, come anche la sua bellezza".


A questo punto, confessiamo d'aver apprezzato di più la rappresentazione, meno ambiziosa, ma più fedele, del Winter's Tale di William Shakespeare al Teatro Genesio di Roma.
Spettacolo rigorosamente in lingua, realizzato dalla già apprezzata compagnia The Rome Savoyards/Plays in Rome, per la regia di Sandra Provost.


Anche qui la vicenda è calata nella contemporaneità, forse più per facilità nella realizzazione che per vezzo interpretativo.
La fedeltà all'opera è però impeccabile.
Un testo non facile, tra i più intricati della produzione shakespeariana: cinque atti, di cui tre di cupa ingiustizia, di tortura psicologica, di trionfo del sospetto e dell'ignoranza, con morti innocenti, oracoli profanati e atroci sensi di colpa, una fosca tragedia sulla stupidità umana che poi negli ultimi due si scioglie nel più clamoroso dei lieto fine.
La compagnia, ben collaudata nella commedia brillante, cerca un equilibrio non facile in una recitazione didascalica e misurata, eppure, nel finale miracoloso, è in grado di emozionarci.
Il motivo è semplice: perché, pur nella semplicità di una messa in scena non certo faraonica, gli archetipi vengono rispettati.
E ciò (T.S.Eliot docet) è il segreto della vera, sapiente modernità: la scena finale, in cui i protagonisti sono disposti, nei loro diversi caratteri (il re affranto dalla colpa, i giovani innamorati, il ladro nato sotto gli auspici di Mercurio, il consigliere fedele e onesto, le coraggiose serve della regina), assistono alla meraviglia del Mistero, alla Resurrezione rituale dell'Amor perduto, della Giustizia offesa, sembra una risposta felice con 304 anni d'anticipo all'abisso del dubbio di Cosi è, se vi pare.


Shakespeare, come tutti i grandi geni, dialoga al di là del tempo con i suoi eredi: come Dante ispira Eliot e Pound, così il Bardo dispone le carte sul tavolo di Pirandello.
Un plauso alla commovente resa della regina/statua di Fabiana De Rose.

Ancora una volta, less is more.

RIVELAZIONE - sette meditazioni intorno a Giorgione


Al Teatro Indiaè in scena fino al 19 Febbraio, Rivelazione- sette meditazioni intorno a Giorgione.

La compagnia Anagoor, che col rivoluzionario genio pittorico condivide la culla e i natali di Castelfranco Veneto, mette in scena con rispetto un dignitosissimo omaggio al maestro di Tiziano.

Uno spettacolo costruito su una struttura libera ma solo apparentemente casuale, in cui il crescendo meditativo non sembra seguire uno schema simbolicamente ragionato, piuttosto un flusso d'intuizioni che circolarmente trovano il loro compimento nel discorso d'insieme.

L'approccio disinvolto e informale, che all'inizio ci aveva fatto temere una facile quanto urticante dissacrazione, lascia presto il campo, prima, ad una vivace ricostruzione storica (sulla base degli scarni frammenti della biografia giorgionesca) e, infine, al momento cruciale della dolente riflessione poetico-filosofica sulle immagini immortali del pittore.

La drammaturgia (di Laura Curino e Simone Derai, autore anche della regia) alterna concessioni a un tono colloquiale tipico delle ormai diffuse lectio su temi artistici (con tutte le semplificazioni e gli ammiccamenti imposti dalla volgarizzazione) a improvvisi voli pindarici, che elevano il livello della riflessione a altezze non comuni.
La narrazione (affidata a Marco Menegoni) è esposta con garbo e notevole dettaglio filologico, trovando spesso un buon equilibrio tra il rigore storiografico e la necessaria invenzione romanzesca volta a colmare le voragini dell'assenza di documenti oggettivi.
L'esposizione si gioca su una voce che si sdoppia in due microfoni, uno dedicato alla narrazione presente, l'altro megafono delle citazioni passate, in vernacolo veneto o nel linguaggio alto delle citazioni letterarie.
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Ritratto di giovane uomo

Avremmo forse desiderato una maggiore contemplazione dei capolavori pittorici, spesso sezionati in dettagli simbolici ove liberare la speculazione esegetica, ma parliamo, comunque, di uno spettacolo dall'intelligenza sottile e dai molteplici spunti, raramente scontati.

S'imparano molti dettagli illuminanti, ma ciò è il minimo che ci aspettiamo, soprattutto si riceve l'offerta di interpretazioni suggestive, non sempre ancorate a evidenze oggettive ma quasi sempre in grado di mostrare angolature originali e stimolanti.
Come si spiega nel testo introduttivo, e all'inizio dello spettacolo: "Giorgioneè una delle figure più enigmatiche della storia dell'arte. Cercare di metterlo a fuoco è come osservare la costellazione delle sette sorelle, le Pleiadi: riesce meglio se uno non la fissa direttamente."

Sette meditazioni, giocando sul duplice significato di riflessione filosofica e stato di contemplazione, su sette opere del maestro veneto.

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Pala di Castelfranco

Si parte dal dato umano, umanissimo, di affetti recisi, commerci politici e incantamenti negati per giungere alle vette nebbiose di una sapienza intrisa di neoplatonismo (come nei messaggi cifrati dei cartigli finali).

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Venere dormiente di Giorgione

Intelligente la riflessione su "la morte nel desiderio" nella celebre Venere dormiente (finita dall'allievo Tiziano, che ad essa si ispirerà per la sua forse più celebre versione), nel momento di massimo espansione virale delle malattie, appunto, veneree.

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Venere di Urbino di Tiziano

Apprezzabile la scelta, vorremmo dire, apofatica di non commentare lo splendore immortale de La Tempesta, affidando alla mera contemplazione del pubblico il più profondo significato di meditazione.

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I tre filosofi del Giorgione
Molto interessante la riflessione sui Tre filosofi, Trimurti che non può non evocare i Tre Magi, che ispira un monologo (pericolosissimo!) sull'Anticristo: un'interpretazione ardita ma convincente che, partendo dall'Oroscopo delle Religioni molto in voga nei circoli esoterici delle corte rinascimentali (secondo la quale dopo le tre fasi storiche delle religioni monoteistiche il prossimo yuga avrebbe visto l'Apocalisse), intende la figura del giovane cristiano (non collocato cronologicamente tra il rabbino e il saggio islamico) come il Nemico, dacché il cristiano, nella contemporaneità dell'autore, è colui che guarda. Da qui una prolusione, equilibrata e non banale, sulla presenza in ognuno di noi dell'Anticristo.

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Giuditta e Oloferne
Facile? No, perché apre intelligentemente al riconoscimento del più potente degli archetipi (Jung docet), nel suo aspetto veterotestamentario: Giuditta contro Oloferne, Giovanna d'Arco ante litteram, fanciulla guerriera, vergine sacrificata e vendicativa. Dal Devi Mahatmyam a Kill Bill, mutatis mutandi abissalmente nella profondità di rivelazione e manifestazione del Vero, riconosciamo le variazioni di un'icona inscritta a caratteri d'oro nell'Inconscio Collettivo.
Se il Gran Nemico è in noi, dobbiamo dare nascita dentro di noi alla fanciulla guerriera che ne reciderà l'osceno capo.
Quale migliore metafora della seconda nascita, del risveglio della Kundalini, delle Nozze Mistiche, dell'albedo interiore?

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particolare dei fregi della Casa Museo di Giorgione
C'è sicuramente nel testo una traccia, sapiente, di riflessione orientale, forse di derivazione specificamente buddhista, ben declinata nel riconoscimento del filo d'oro della Tradizione esoterica dei grandi iniziati, una traccia che guida il percorso meditativo, solo apparentemente affidato al capriccio della suggestione, verso la splendida riflessione finale sull'ultimo cartiglio dei fregi nella casa detta di "Giorgione" a Castelfranco (quello lasciato in bianco per lasciare all'Uomo il monito e l'invito a giocare saggiamente le carte del proprio libero arbitrio): "bisognerà lottare per affrontare il caos...chissà che la via d'uscita non sia data proprio dall'arte, arte rinnovata e magica, per tracciare o incidere sulla tavola bianca immagini con il potere di sanare, curare il mondo nostro, con amore, corpuscolo che ci lega al tutto con necessari e invisibili legami".







TUTTI GLI ARTICOLI DI GENNAIO, FEBBRAIO E MARZO

Care lettrici, cari lettori,
una vasta e complicata serie di impegni internazionali (oggetto di un prossimo resoconto) mi ha indotto a rallentare il ritmo usualmente febbrile delle pubblicazioni.
Ecco, dunque, svelato il perché nei primi mesi del 2017 ho pubblicato un numero di articoli che solitamente raggiungo in un mese.

Spero ciò vi abbia dato tempo e modo per approfondire spunti e motivi dei temi trattati.

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David Bowie con Linsday Kemp
Sulla Repubblica-XL abbiamo pubblicato:
- Il nostro omaggio per i 70 anni di David Bowie, primo anniversario dopo la scomparsa QUI 
- la breve recensione di Palla Rossa e Palla Blu di maicol&mirco, votato miglior fumetto del 2016 dai lettori QUI 
- abbiamo parlato dell'interessante libro di Elisa Giobbi sul Club 27 QUI
 - abbiamo parlato dell'ultimo, non memorabile, film di Tim BurtonQUI

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maicol&mirco per il nostro blog
Sul Blog de IL FATTO QUOTIDIANO:
- abbiamo celebrato l'anniversario di Cristina CampoQUI in un articolo indicato dalla rivista Oblique, che ringraziamo, tra i migliori in Italia di Gennaio QUI

Abbiamo esordito su ULTIMA VOCE:
- con un pezzo riguardo lo spettacolo teatrale ispirato alla tragica storia della militante filopalestinese Rachel Corrie QUI 

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Tuono Pettinato per il nostro blog
Su MINIMA&MORALIA:
- abbiamo ancora una volta parlato di BowieQUI
- abbiamo ricordato Fabrizio De André con Doriano FasoliQUI 
- abbiamo conversato con Daniele Rielli sul suo esordio per Adelphi con Storie dal mondo nuovo QUI 
- abbiamo pubblicato una nostra vecchia intervista con Paolo Poli in cui bisticciamo su Manzoni QUI 




Su le presenti colonne di SPEZZANDOLEMANETTEDELLAMENTE abbiamo pubblicato:
- l'articolo omologo di fine anno QUI 
- una riflessione su Orgia di PasoliniQUI 
- la recensione de La via del vizio di Bram StokerQUI 
- una riflessione sul massacro dei classici QUI 
- una meditazione sulle Sette meditazioni su Giorgione QUI 


Abbiamo già ripreso a pubblicare al ritmo abituale.
Per ora ci limitiamo ad augurarvi una
Buona Lettura!

TUTTI GLI ARTICOLI DI APRILE E MAGGIO




Care lettrici, cari lettori,
torniamo ad aprire i battenti del nostro laboratorio, rimasti chiusi e impolverati in mesi di impegni folli e sfiancanti, in ogni ambito dell'espressione umana.
Un giorno tali peripezie saranno narrate da una squadra di biografi, ciascuno arruolato per settore esistenziale.
O da alcuni esperti in studi trasversali sui fenomeni di ubiquità correlati ai disturbi da personalità multiple.

Dunque, prima di infliggervi una nuova serie di deliri, credo si convenga ricordare dove eravamo rimasti negli ultimi due mesi.


Sulla La Repubblica- XL
abbiamo avuto il piacere di intervistare, con Massimo Palma, Peter Hook QUI 


Su Fumettologica
abbiamo parlato di Free Ink QUI 

Sul Blog de Il Fatto Quotidiano:

- abbiamo parlato della rappresentazione del Faust di Goethe in cinese QUI


- dell'omaggio a fumetti ad Erik Satie realizzato da Sebastiano Vilella QUI


- dello spettacolo, non convincente, Il Viaggio di Enea al Teatro Argentina QUI


Su Ultima Voce abbiamo parlato:
- dello spettacolo Anamoni di Lisa Rosamilia con le splendide musiche di Michele Sganga QUI


- di una interessante versione teatrale di Old Times di Pinter QUI

Siamo tornati su D.A.T.E. Hub
per parlare del diario autobiografico di Nicoz Born To LoseQUI


Sulle colonne di questo blog
abbiamo pubblicato l'articolo omologo sui mesi precedenti QUI
(da Bowie a Paolo Poli, da Pasolini a Giorgione, da Tim Burton a Cristina Campo, da De André a Bram Stoker).


Grazie per l'attenzione.
A presto per una nuova ondata di deliri!

Vastu e Feng-Shui - La dimora interiore


Dopo mesi che meriterebbero tre saggi filosofici, due romanzi autobiografici e un poema lirico-introspettivo per essere degnamente raccontati, mi ritrovo qui a parlare di un argomento di cui, per mera coincidenza, avevo parlato esattamente un anno fa (QUI).
Le sincronicità, da sempre, governano queste deliranti colonne.
Buona Lettura!

Abbiamo già affrontato in più occasioni i libri di Valentino Bellucci (QUI e QUI), studioso attento e versatile la cui ricerca ruota attorno alla dimostrazione del primato della cultura vedica, come origine e ispirazione di tutta la cultura esoterica nelle diverse tradizioni successive.
Nella sua vasta e prolifica produzione, abbiamo trovato molto interessante il suo testo Vastu- L'antica scienza indiana dell'architettura (Enigma Edizioni) un'ottima introduzione a una delle più affascinanti discipline di applicazione pratica di principi spirituali nella vita quotidiana.
Citiamo le parole precise di Bellucci: "Per millenni la scienza sacra dell'architettura ha reso un grande servizio all'umanità. Dal tempio alla cattedrale ogni forma geometrica aveva una particolare risonanza che formava una certa armonia tra la psiche individuale e la terra stessa. Energie che oggi la maggior parte degli studiosi ignora, venivano equilibrate attraverso una sapiente costruzione degli edifici, e da quel particolare equilibrio la vita dell'essere umano traeva forza per una vita sana e colma di successo interiore ed esteriore.".
Troviamo definitive le considerazioni successive, ispirate al nitore di una saggezza primordiale: "Oggi molte persone soffrono a causa di un abitare del tutto deformante, a causa di un'edilizia folle che ha un solo scopo: vendere scatole di cemento. Ma la casa è un luogo sacro e sacro dovrebbe essere l'intero processo di progettazione e costruzione".
Bellucci squaderna la sua dettagliata erudizione in un volume comunque agile (un centinaio scarso di pagine) elencando le connessioni sottili e zodiacali che regolano, o dovrebbero regolare, un'abitazione costruita e arredata secondo le antiche regole vediche.
Vorremmo ricordare le parole conclusive del testo, che sottoscriviamo pienamente: "il padrone di casa dovrebbe invitare la Dea Lakshmi ad abitare la propria dimora: essa è il divino femminile, Madre Natura e la Dea della fortuna. Ecco una sua immagine che non dovrebbe mai mancare nella nostra casa:


Invito il lettore a ricordare che la casa è materna, è simbolo del grembo che ci ha dato vita e che continua a darci vita e fortuna, a patto che ognuno riesca a onorare il divino femminile che si trova in noi e nel cosmo".

Visione differente anche se apparentemente simile rispetto al Vastuè quella del Feng Shui, di cui abbiamo già parlato su questo blog.

L'esplorazione degli elementi comuni (rapporto con i 5 elementi, armonia interiore/esteriore, scoperta del potere energetico dei luoghi) e delle divergenze (gli elementi sono cinque ma differenti, il Vastu si concentra sulla necessità di rinnovamento energetico del luogo, il valore del Nord è diverso nelle due dottrine) pretenderebbe un libro a parte.

Ci limitiamo a segnalare per un approfondimento consapevole l'incontro con Marta Cristina Ceccarelli, che al tema ha dedicato una pagina Facebook, presso la libreria Passaparola di Roma, a Via della Balduina, 122, Domenica 25 Novembre alle ore 17.30.

Feldenkrais - Armonia spontanea

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Il fondatore della tecnica Moshe Feldenkrais

Confesso la mia ignoranza.
Avevo sempre snobbato il metodo Feldenkrais.
La mia quasi ventennale frequentazione delle discipline meditative orientali mi aveva sempre distanziato da un approccio meramente fisico al rilassamento.
Eppure, come il titolo di questo blog testimonia, sono sempre pronto a rimettermi in discussione.


Seguendo, dunque, la guida sapiente della mia amica Minoo Samii mi sono volentieri sottoposto a una seduta di prova.
Al di là della gradevolezza della pratica, della estrema semplicità dei movimenti e della grazia elegante che intuisco possa essere sviluppata spontaneamente tramite la cura del gesto, ciò che mi ha colpito è la conferma "meditativa".
Non solo la disciplina non è in contrasto con la quiete interiore, bensì ho potuto apprezzare, in primo luogo, una profonda consonanza concettuale e, prova ancora più importante, il raggiungimento spontaneo di uno stato meditativo durante i semplici esercizi che il metodo propone.

L'ennesima conferma della fittizia contrapposizione tra corpo e spirito, che tanto ha infestato la metafisica occidentale, dalla scissione di natura religiosa (etimologicamente ossimorica) al delirio indiscriminato del Kali Yuga, schiuso ormai un secolo fa circa a Berggasse, 19 a Vienna.


Il prossimo sabato, alle ore 12,30, alla Casa della Pace, a Roma (Testaccio), la Dr.ssa Samii terrà un primo workshop introduttivo.
Un'ottima occasione per chi ricerca l'armonia con se stessi.

P.S.
QUI un articolo divulgativo su una testata nazionale
QUI la pagina Facebook internazionale di riferimento della dottoressa


10 libri non banali (e non è poco)

Questa non è una classifica.
Questa non è una lista di fine anno.
Non ci sono premi, non ci sono medaglie, non ci sono voti.

Questi sono libri che mi hanno particolarmente colpito in un anno di letture molteplici, forsennate e bizzarramente eterogenee.
Mi sembra il minimo tributo accennarne i motivi di interesse.


- Morte ai vecchi, Franco "Bifo" Berardi e Massimiliano Geraci, Baldini&Castoldi
Non lasciatevi ingannare dal titolo.
C'è molto di più di uno scontro generazionale.
Si tratta di un libro autenticamente postmoderno, nel senso più alto e consapevole: niente citazionismo sterile alla deriva, niente plagi spacciati per omaggi, niente idee copiate con la scusa della rielaborazione.
Nessuna confusione tra archetipi e stereotipi.
Un libro di profonda intelligenza, che si muove con accortezza in ambiti insidiosi, attraversando le ardite frontiere del cyberpunk e gli abissi infernali della ricerca psichedelica.
Una distopia nemmen tanto dissimile dalla realtà di tutti i giorni, un libro che sembra scritto dopo una consultazione funesta dell'IChing sul futuro della nostra società.
Apprezzabili lo stile proteiforme, il contrasto tra folli navigazioni interiori e grigiore quotidiano, l'intreccio avvincente della vicenda, che mescola la prosa allucinata di derivazione burroughsiana agli stilemi del noir, la parodia dei tic veterocomunisti alla testimonianza lucidissima e illuminante sullo smarrimento delle nuove generazioni.
Soprattutto, un libro che trabocca cultura ad ogni riga: citazioni sottili, nascoste, occultate come doni preziosi, senza compiacimenti esoterici, né ostentazioni adolescenziali per accattivare il lettore.
Leggetelo.

- A mille c'è n'è, Cinzia Bigliosi, L'Iguana
Cinzia Bigliosi, raffinata traduttrice e intellettuale di raro pregio, ci delizia con la sua prosa rarefatta, crepuscolare, ricercata ma senza forzature nella raggiunta perfezione di una spontanea musicalità.
Non si traduce degnamente Irène Némirovsky per caso.
In questo racconto, esile quanto penetrante, per molte pagine pare non accadere nulla: pitture sognanti di atmosfere interiori, il pigro scorrere di una quotidianità incolore, addirittura la scrittrice sembra indugiare su descrizioni minuziose di dettagli insignificanti, rese con pregevole tecnica stilistica ma, apparentemente, con minore costrutto narrativo.
E, poi, all'improvviso, lo sconvolgimento.
Tremendo come solo l'insensatezza dell'apparente caso può essere.
Dal crepuscolo si cade nella notte nera senza redenzione.
Magistrale la costruzione, la capacità di cogliere gli impercettibili palpiti interiori e insieme raccontare l'indicibile del dolore.
Una penna così abile la attendiamo fiduciosi su prove più vaste e impegnative.


-L'armonia segreta, Geraldine Brooks, Neri Pozza
Un libro bellissimo.
Il racconto della vita del grande David dal punto di vista privilegiato, e condannato, del suo intimo testimone: Natan, il bimbo veggente, costretto dalla violenza numinosa del Divino a incoronare profeticamente l'assassinio di suo padre.
E ad accompagnarlo per tutta la vita come talismano temuto e venerato, inerme osservatore delle sue ingiustizie, ammirato nella contemplazione della sua gloria, unico custode del lato oscuro della sua anima estasiata.
Un libro crudele, irriverente, spietato, eretico il giusto nella veridicità storica quanto essenzialmente rispettoso del Mistero, come intelligenza impone.
David, guerriero feroce e Re capriccioso, eppure strumento potentissimo e invincibile del suo Dio: pagine potenti di ricostruzione storica, sottili riflessioni sulla maledizione dell'elezione profetica, rigorosa ricostruzione filologica e sintomatologica dell'esperienza mistica e delle lotte che condurranno David alla gloria.
Una prosa che esplora le sottigliezze insondabili del rapporto con un Dio paradossale, collerico e misericordioso e d'improvviso schiaffeggia il lettore col racconto agghiacciante dello stupro incestuoso di Tamar perpetrato dal bestiale primogenito di David, Amnon.
Non si scandalizzino gli ortodossi: questo è ciò di cui è fatta la sostanza del racconto veterotestamentario.
Le contraddizioni, le bassezze, la violenza necessaria di un guerriero esaltato non sono fango sull'idolo: l'ispirazione sublime ed eterna del Salmista, i versi supremi di David, la sua incendiaria devozione, il canto celeste e ispirato ancor più risaltano nel loro splendore divino, proprio avendo scelto dimora nella mente di un uomo divorato dalle passioni.
Dietro lo scandalo apparente, una profonda conoscenza interiore.
Commovente la dedica finale a Leonard Cohen, colui che in musica seppe tradurre, in una canzone in seguito insensatamente abusata, la tensione supremamente erotica dell'amore mistico.



-La vedova Van Gogh, Camilo Sánchez, Marcos y Marcos
Libro differente dal precedente, ma con uno sguardo simile: il racconto laterale, postumo dell'intima testimone di un Eletto.
Un'elezione più vicina a quella di Natan che a quella di David.
Van Gogh, artista profetico e in quanto tale inascoltato dai contemporanei, destinato a una vita di ossessivo isolamento intellettuale e emotivo.
La storia raccontata è l'avventurosa e testarda ri-costruzione del mito Van Gogh da parte della cognata, rimasta vedova del fratello Theo.
Tramite la lettura del carteggio ritrovato fra i due fratelli, la protagonista Johanna scopre le profondità del genio, i significati reconditi, impara a "vedere", a contemplare il miracolo della creazione artistica di quello che l'altro grande folle "suicidato della società" Antonin Artaud  in un saggio memorabile per vertiginosa affinità interiore celebrò così: "I suoi girasoli d’oro e bronzo sono dipinti;, sono dipinti come girasoli e nient’altro, ma per capire un girasole in natura, bisogna adesso rifarsi a Van Gogh, così come per capire un temporale in natura, un cielo tempestoso, una pianura in natura, non si potrà più non rifarsi a Van Gogh".
In questo libro scopriamo a chi dobbiamo questa scoperta dal valore incommensurabile.


- Challenger, Guillem López, Eris
Libro stupefacente, ambizioso, non distante dal primo di questo elenco libero e disordinato per sguardo narrativo caleidoscopico, tentacolare, apparentemente delirante ma in realtà minuziosamente costruito su una serie di incastri precisi, in un gioco di complementarità e rivelazione reciproca nei 73 frammenti che ne compongono l'impressionante mosaico.
L'esplosione (sconvolgente memoria per tutti i bimbi degli anni '80) della navetta spaziale Challenger diventa il Big Bang per una catena inesorabile di sincronicità sempre più inquietanti, nel parrossismo di una stretta narrativa progressivamente più confusa fino alla rivelazione del disegno complessivo.
Non è facile raccogliere sfide così complesse dopo che nel mondo non solo è esistito Borges, ma anche Ballard.
Queste sono letture che al termine non ti fanno rimpiangere il tempo che vi hai dedicato: stimolante, ben costruito, quasi mai prevedibile.



- Il Sancane/ Il Sancane volume II, Simone Amicucci, Ultra
Il libro che tutti dovrebbero avere sul comodino per leggerne una pagina ogni sera.
E meditare.

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Andrea Foschini
- Merlino, L'Ultimo dei Danaan, Andrea Foschini, Nuove Edizioni Aldine
Amiamo la prosa di Andrea Foschini.
Una prosa feroce, visionaria, delirante, sempre in continua tensione verso l'ineffabile e l'infame, sempre sul punto di incendiare la pagina, tra Mishima e Majakosvkij, per citare una nota canzone, sempre magnificamente, terribilmente, atrocemente identica a sé stessa.
Stavolta, dopo Giovanna D'Arco, Caligola, Caracalla, Ulisse, Nerone, Edoardo II, è Merlino il grande alter ego su cui l'autore chiaramente proietta un palese trasferimento di personalità, nel supremo disprezzo del mondo contemporaneo.
Stavolta l'atmosfera consente all'autore di evocare atmosfere meno arcaiche e più affini a quello che superficialmente viene definito fantasy.
Ecco un brevissimo saggio della prosa ardente di Foschini: "Il drago era l'architettura del mondo invisibile. Ma questa è una definizione rozza. Per quanto allora tale volli darla a me stesso...Caddi e fui l'uomo selvaggio. Preso a sassate dai giovani che per primi incontrai nel mondo degli uomini, selvaggio, essere informe come gobbo apparivo loro finché un cavaliere armato di lancia si pose in difesa della fattoria dove i suoi bambini avevano bersagliato di pietre me, il mostro. Si lanciò in armi anche lui nella mia direzione e non ebbi pietà".


- Dietro le dune, Paolo Basili, Augh!
Un libro completamente diverso da quelli che abbiamo affrontato finora.
Niente deliri, niente visioni, niente archetipi, niente illuminazioni.
Una storia d'amore, scritta in modo semplice, volutamente dimesso.
Una sorta di erede dell'inetto sveviano alle prese con le pressioni illusorie e crudeli della vita contemporanea.
All'improvviso, il ritorno di una vecchia fiamma.
Salvezza o trappola?
Un libro che rende benissimo il grigiore intollerabile della vita quotidiana, ma che nelle ultime pagine trova un'accelerazione irreale in cui accade di tutto.
L'ambiguità dei sentimenti, la vanità dei progetti, l'inganno dei sensi esplorati in un'introspezione da "uomo qualunque", in cui chiunque, anche il più geniale e avventuroso dei lettori, può rispecchiarsi.
Paolo Basili, al suo esordio sulla lunga distanza narrativa, supera la prova non solo con l'entusiasmo del principiante, ma soprattutto grazie al più importante dei doni letterari: l'autenticità.


- SuperDio, Franco Sardo, Blonk
Visto che il presente è orrido, le distopie si moltiplicano, ma non hanno bisogno di molta fantasia per dipingere scenari da far intimorire Orwell.
Franco Sardo, esperto autore satirico, mescola giocosamente vari elementi della sua cultura postmoderna, erigendo una parodia della religione organizzata che ha la struttura di un videogioco e il percorso di un viaggio simbolico.
Intuizioni irresistibili si avvicendano a comode soluzioni comiche, ma nel complesso l'eruzione di spunti satirici, di riflessioni metanarrative, di colte parodie filosofiche (e qualche concessione scollacciata) rendono SuperDio una lettura interessante.
Splendidi i titoli dei capitoli, che descrivono, tappe concettuali del percorso controiniziatico di uccisione del dio inesistente: Il Clero dei Morti, Il Sesso degli Angeli, La Palude Sociale.
Se in breve tempo, Sardo può creare un "quasi" romanzo del genere, in cui solo si intravedono le potenzialità di un'intelligenza comica brillante, ci aspettiamo molto da opere successive, più meditate e strutturate.


- La Nave dei Folli, Marco Taddei (illustrazioni di Michele Rocchetti), Orecchio Acerbo
Dunque, che Marco Taddei sapesse scrivere, e bene, lo sapevamo da tempo.
Siamo stati sostenitori tra più facinorosi nel tambureggiare della Curva in sostegno di Anubi.
Qui dimostra di non padroneggiare solo il registro grottesco e graffiante, ma di saper declinare la sua abilità di scrittura anche nell'incanto, nella meraviglia, nello stupore.
Accompagnato dalle belle illustrazioni di Michele Rocchetti, il racconto esalta il talento di giocoliere linguistico di Taddei, di chiava ispirazione rabelaisiana ma che certo non ignora l'omonimo precedente rinascimentale  di Sebastian Brant.
Un'opera di non comune pregio stilistico.

Dove eravamo rimasti ?




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Opera del maestro Cifone
Care lettrici, cari lettori,
eccoci di nuovo qui, dopo quasi un anno.

Chi mi segue, sa bene come la mia vita sia cambiata.
D'ora in poi questo blog tornerà ad essere regolarmente aggiornato, ma (viste le molteplici collaborazioni su diverse testate in cui mi occupo di svariati temi) più come un diario, in cui parlerò delle cose che, benché impopolari, mi interessano di più: filosofia, ricerche esoteriche, cultura archetipica, meditazione.

In questo anno ho girato molto, ho cambiato più case, ho visitato molte città, in tutto il mondo, ho lanciato e seguito molti progetti, ho conosciuto alcuni dei migliori artisti contemporanei, ho presentato moltissimi libri, ho visitato molte mostre, sono andato a teatro quasi ogni sera.

E ogni tanto ne ho scritto:

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Maicol&mirco per il nostro blog

Su Fumettologica:

- intervista a Filippo ScozzariQUI
- recensione di Macanudo di Liniers QUI
- recensione de Le incredibile avventure di Brodowsky di Marco GalliQUI
- 22 contributi sul progetto Fumetti nei  Musei QUI
- recensione di Èpos, sempre di Marco GalliQUI
- conversazione con Maicol&mirco su Gli ArcanoidiQUI

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Frank Zappa

su la Repubblica XL

- conversazione con Simon Reynolds (assieme a Paolo Bassotti) QUI
- conversazione con Francesco BianconiQUI
- conversazione con Antonio Rezza e Flavia MastrellaQUI
- conversazione con Federico FiumaniQUI
- conversazione con Ivan TalaricoQUI
- conversazione con Francesco DonadioQUI
- recensione de libro di Matteo Persica Rino Gaetano. Essenzialmente tuQUI
- un articolo di presentazione dei Le CardamomòQUI 
- conversazione con Giuseppe PalumboQUI
- conversazione con Boris Battaglia sul libro GainsbourgQUI
- la recensione del Rocky Horror Erotic DreamQUI
- la recensione del concerto The Yellow Shark a Roma QUI
- la recensione dello spettacolo Santa Rita and the Spiders from Mars, su Paolo Poli e BowieQUI


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Friedrich Nietzsche


su minima&moralia

- un testo introduttivo alla mostra MACROMANARA – tutto ricominciò con un’estate romanaQUI
- la recensione degli spettacoli per bimbi ispirati a Il Flauto Magico e La Divina CommediaQUI
- conversazione con Gabriele Coen su QabbalahQUI
- conversazione con Alberto Ventura su L'Esoterismo IslamicoQUI
- il primo articolo del trittico dedicato alla mostra di Damien Hirst a Venezia QUI
- conversazione sul progetto Blake.Eternal LifeQUI
- conversazione con Massimo Palma e Marina Montanelli su Walter BenjaminQUI
- conversazione con Sandro LombardiQUI
- un articolo in memoria di Antonio InfantinoQUI
- conversazione con Marco GalliQUI
- recensione dell'evento Focus Baudelaire (con Chiara Babuin) QUI
- articolo sulla mostra Donne, Madri, Dee a Udine QUI
- la recensione di Loro 1 e 2 di Sorrentino (con Chiara Babuin) QUI
- un estratto dai testi della mostra Andrea Pazienza, trent’anni senzaQUI
- recensione dello spettacolo Il Sogno di Nietzsche (con Chiara Babuin) QUI
- l'omaggio per i 50 anni di Nostra Signora dei TurchiQUI
- conversazione con Alessio Spataro su Le avventure rossobrune di Ego FuffaroQUI
- la recensione de Il Revisore di GogolQUI
- un omaggio a Walter BenjaminQUI

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Walter Benjamin
su D.A.T.E. Hub
- recensione di Outsiders di Alfredo AccatinoQUI
- resoconto della mostra Illuminating Poetry alla Keats Shelley House QUI
-recensione dello spettacolo EsotericarteQUI

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William Blake

su Ultima Voce

. recensione di Old Times di PinterQUI

su David Bowie Blackstar

- articolo su The Buddha of Suburbia QUI
- articolo sulle citazioni bowieane in Suspiria di GuadagninoQUI
su Linus

- sul primo numero della nuova gestione di Igort (Maggio 2018) un articolo su Vaughn Bodé
- sul numero di Ottobre, un articolo su distopia e neofascismo



sul Blog de Il Fatto Quotidiano:

- un omaggio a La Peste di Albert CamusQUI
- una recensione di Bazar ElettricoQUI

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Albert Camus

su Letture Metropolitane ho parlato di:
- Carmelo Bene QUI
- Eugenio MontaleQUI
- William BlakeQUI
- Rainer Maria RilkeQUI
- Elio e le storie teseQUI
- David BowieQUI
- Umberto EcoQUI
- Pier Paolo PasoliniQUI
- Maria CallasQUI
- Andrea PazienzaQUI
- William TurnerQUI
- David Foster WallaceQUI

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Carmelo Bene

su Alexanderplatzjazzblog
- conversazione con Danilo ReaQUI
- conversazione con Roberto GattoQUI
- articolo per l'anniversario di Dizzy GillespieQUI
- conversazione con Enzo PietropaoliQUI
- articolo sullo spettacolo Haber/BukowskiQUI


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Dizzy Gillespie

su spezzandolemanettedellamente

- un articolo su Vastu e Feng-Shui QUI
- un articolo sul FeldenkraisQUI
- dieci consigli di lettura QUI

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Carl Gustav Jung



A prestissimo su queste colonne.Vostro Conte Z.

L'Ultimo Guardiano del Valico - l'omaggio a Lao-Tze di Valentino Bellucci



Da tempo leggiamo con interesse le numerose opere di Valentino Bellucci, intellettuale fecondo e prolifico che si è occupato di diverse aree dello scibile umano, sempre osservate con lo sguardo sereno e superiore che la frequentazione dei testi sacri indiani dona agli studiosi consapevoli.
Il limite della sua interessantissima produzione, per un pubblico abituato a più convenzionali letture, è da un lato una certa assertività dogmatica, dall'altro un'attitudine didascalica a volte troppo trasparente: l'urgenza di rivelare la ricchezza della sapienza orientale, a lettori spesso digiuni e orbati dagli avvilenti luoghi comuni dominanti, talvolta tradisce la sua vocazione di divulgatore spirituale.

In questo breve romanzo, L'Ultimo Guardiano del Valico (Digital Soul) possiamo incontrare i pregi e i limiti della sua ormai vasta produzione.
L'assunto è geniale: come sa chiunque si sia approcciato al Taoismo, la leggenda sacra vuole che Lao-Tze abbia scritto il sublime e abissale Tao Te Ching per poter varcare il confine della corte Zhou; quella era stata la richiesta del guardiano per farlo passare, ovvero lasciare un testo scritto in cui condensare la sua rinomata sapienza.
Con suprema ironia, l'immenso testo sapienziale inizia: "Il Tao di cui si può parlare non è il vero Tao". Maestro Primordiale, come Socrate, Lao-Tze aveva fondato la teologia negativa.

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Statua di Lao-Tze sul Monte Qingyuan
Bellucci, con un'intuizione notevole, decide di raccontare cosa accade dopo quel decisivo incontro.
Da un lato, seguiamo le paradossali peripezie del guardiano, sballottato dal potere del Tao tra ambizione e fallimento, infamia e gloria, umiliazione e successo; dall'altro contempliamo le vicende eguali e contrarie del sommo saggio, gli ostacoli e le prove continue per la sua serenità interiore.
Il racconto è plasmato sul modello delle storie sacre, con evidenti omaggi al Siddharta di Herman Hesse. A noi che tributiamo una sacra devozione al Saggio Cinese suscita un certo turbamento vederlo ritratto in momenti di smarrimento, peccato, contrizione, dubbio.
Rappresentare i pensieri di un Guru universale è un'ambizione che richiede costi alti.
Comprendiamo, d'altro canto, lo spirito di Bellucci nel mostrare come il cammino della Conoscenza (come appunto nel caso di Siddharta) passi per la dolente iniziazione dell'errore.

Il racconto è scritto con impeccabile rispetto formale (salvo un richiamo un po' didascalico alla contemporaneità) e si conclude, con perfetta coerenza ideale, nel rovesciamento incrociato dei destini.



Siccome Bellucci, prima che uno scrittore interessante, è un dotto studioso, abbiamo trovato ancora più ricca di spunti la coda storico-critica, in cui si dispensano, stavolta sì con equilibrio tra rigore erudito e necessità di divulgazione, precise note informative sul Taoismo, sul Confucianesimo e sul Buddhismo, confrontati nella purezza degli insegnamenti come nei rischi delle derive esoteriche.

Concludiamo con una frase di Henry David Thoreau, considerato da Bellucci un erede della tradizione taoista nella letteratura occidentale: "Illuminazione è vedere il piccolo".

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Henry David Thoreau
Dunque, la si può trovare anche in un libro poco conosciuto di una piccola casa editrice.

Conversazione con Tiresia - di e con Andrea Camilleri





Care lettrici e cari lettori, d'ora in poi pubblicheremo sul nostro blog i video (e i testi relativi) realizzati con #LettureMetropolitane.
Buona visione, buona lettura!



Il 5, 6 e 7 Novembre (EDIT: ritornerà in sala a grande richiesta il 22 Novembre) potremo vedere al cinema Conversazione su Tiresia, di e con Andrea Camilleri.
In un'evidente processo di immedesimazione, per l'ormai irreparabile cecità, lo scrittore siciliano rende omaggio alla figura del mitico indovino cieco, esplorando la galleria di sue reincarnazioni letterarie presenti nella letteratura occidentale degli ultimi, almeno, 2500 anni.


Dall'origine omerica nell'Odissea al V°Inno di Callimaco, oltre ovviamente all'apparizione più celebre nell'Edipo Re di Sofocle, per ciò che riguarda i classici greci; arrivando, con una certa ironia, alle satire di Orazio e Giovenale, passando per Stazio, per la rivisitazione della tragedia sofoclea di Seneca e per Luciano di Samosata, Camilleri sembra in realtà apprezzare di più le versioni moderne del mito di Tiresia (anche se condisce il suo discorso con una saggia tirata antifreudiana).



Obbligatoria la citazione dantesca, molto sottili i richiami a Poliziano e a Milton, ma abbiamo particolarmente apprezzato la citazione de Le mammelle di Tiresia di Guillame Apollinaire (prima opera chiamata "surrealista" nella storia della letteratura) e il sacrosanto soffermarsi sulla rilevanza da protagonista che la figura ha nei Cantos di Ezra Pound e in The Waste Land di T.S.Eliot.


Nella sua dotta panoramica, a Camilleri non poteva certo sfuggire la menzione del fondatore del Living Theatre, Julian Beck (che interpretò Tiresia nell'Edipo Re di Pasolini), come anche non poteva mancare un riferimento al grande sapiente cieco della letteratura del Novecento, ovvero Jorge Luis Borges.


Anche Virginia Woolf e Friedrich Dürrenmatt ottengono la giusta considerazione da parte dell'autore di Montalbano, per le loro moderne e illuminanti rivisitazioni della figura di Tiresia.
Camilleri insiste molto sul legame tra cecità e veggenza.
Di tutte le citazioni memorabili che egli evoca, la più adatta non è presente, perché riferita in realtà non a Tiresia ma a Edipo. Ci riferiamo a un frammento dell'ultimo Holderlin che afferma: "Il Re Edipo ha forse un'occhio in più".
Al di là della grande suggestione della eroica prestazione di Camilleri, dello scorso giugno, nel Teatro Greco di Siracusa (luogo legato a doppio filo alla radice stessa della tragedia greca, poiché Eschilo vi mise in scena Le Etnee nel 470 a.c.), in cui l'autore novantatreenne si è esibito, a memoria, davanti a 4mila persone, lo sforzo dello scrittore è apprezzabile perché offre uno sguardo alessandrino senza scadere negli sterili compiacimenti tipici di certo postmoderno.


Lo spettacolo inizia, giustamente, con The Cinema Show dei Genesis (brano anch'esso ispirato a Tiresia) e affronta quasi tutti i, circa, 60 autori che si sono occupati della figura mitica, da un lato con un respiro diacronico, dall'altro con perfetta consapevolezza storica di ciascun autore, che si parli di Milton o di Stravinsky, di Cesare Pavese o di Omero.
Speriamo che non sia il testamento dell'autore siciliano, ma, qualora lo fosse, sarebbe una degna testimonianza del suo grande amore per la letteratura.


I VILLANI - la poesia resistente di Daniele de Michele






Seguiamo Daniele de Michele (aka Don Pasta) ormai da anni.

Proprio su queste colonne parlammo di lui (all'inizio di una fluviale conversazione che trovate QUI) in questo modo: "andrebbe protetto dall’Unesco come patrimonio dell’umanità: è una fortezza di Masada ambulante nei confronti del brutto, della stupidità, dell’insensata negatività che possiede il mondo moderno".
La visione del suo film documentario I Villani ci conferma che (ancora una volta) non avevamo esagerato.
Il film, presentato alle Giornate degli Autori del Festival di Venezia, va visto.


Dopo aver deliziato le folle nei panni adorabili del DJ gastrofilosofo Don Pasta, spesso nei luoghi più improbabili (QUI raccontammo quando aprì per i Massive Attack in una catacomba!), ora Daniele de Michele si riappropria del suo nome anagrafico, per un canto d'amore alla Madre Terra, alla Natura, alla Tradizione...ma lo fa da una prospettiva che è profondamente, appassionatamente, autenticamente di sinistra.
Daniele strappa Gramsci e Pasolini dall'abbraccio mortale e ingannevole del peggior rossobrunismo d'accatto e restituisce la poesia ardente e irriducibile dei moderni contadini, custodi di una tradizione ormai in agonia, resistenti contro le derive follemente perverse e autodistruttive dell'industria alimentare.


Quattro storie, raccolte e raccontate (con Andrea Segre) in quattro diversi angoli d'Italia (non solo il Sud delle amate radici dell'autore), di resistenza attiva, di glorioso suicidio professionale in nome di un'etica superiore, di commovente amore per la natura.
Un canto in cui amore e epica s'intrecciano nella gloria di esistenze umili, apparentemente monotone, gravate dalla fatica, nobilitate dal rispetto.
Un canto d'amore umanissimo. E per questo sacro.


Riportiamo la nota di regia che accompagna come un toccante invito la promozione del film: "“Questa gente mi raccontava il suo stare al mondo, il suo rapportarsi alla terra e alla storia del luogo che le aveva dato nascita. Era in questo intessersi delicato, talvolta ironico, talvolta doloroso tra i racconti intimi del loro vissuto e il loro cucinare con perizia, intelligenza, senso dell'osservazione che veniva fuori il senso più profondo della cucina italiana: il suo essere saggia, gustosa, parsimoniosa, rispettosa dei prodotti della terra e del mare. Questa gente mi mostrava in quei gesti sicuri di quanto la modernità andasse in conflitto radicale con quella cultura. Un conflitto che andava al cuore del problema. Per mangiar bene bisogna rispettare i tempi della cucina, bisogna rispettare le stagioni, la terra e il mare, tutto ciò che la modernità non fa più. Ne viene fuori un conflitto tra le parti, una resistenza, una proposizione di un nuovo vivere che benché ancorato al passato diventa attuale e vitale. In questi quindici anni di lavoro, passati creando libri e spettacoli che unissero la cucina e l’arte, l’esplorazione veniva raccontata da me in prima persona, facendo venir fuori il mio punto di vista su cosa fosse per me la cucina. Quello che mi ha emozionato e che voglio condividere è l'esistenza di persone capaci, realmente capaci, di creare e ricreare il gesto e di costruire un sapere vivo attorno a questo gesto. La loro esistenza è prioritaria rispetto alla mia elaborazione e il mio sguardo vuole fermarsi affianco a loro, per far incontrare le mie urgenze ideali e in fondo politiche con la loro quotidianità di gesti, luoghi, volti e parole. Il cinema documentario è lo strumento che può permettermi di far succedere questo incontro: non rinuncio al mio sguardo, ma lo lascio vivere dentro la loro realtà. Per questo il film arriva alla fine di un lungo periodo di ricerca, dopo il quale voglio finalmente poter vivere del tempo con le persone che questa lunga ricerca mi ha dato la possibilità di scoprire. E' come se fin qui le avessi sfiorate, gustate. Ora ho voglia di stare con loro e con loro far crescere la narrazione e il significato. Dentro di me e verso il pubblico”.


Conosciamo Daniele e il suo entusiasmo, la sua passione, il suo sguardo di poeta della materia e le sue abilità di narratore paradossale e trascinante.
Non ci aspettavamo nulla di meno sul piano del racconto.
Ciò che ci ha sorpreso è la qualità cinematografica del documentario, la fotografia, i tempi (lenti sì, non è mica un film d'azione, ma in maniera pacificante e meditativa), l'uso ardito ma intelligente della colonna sonora.
Ecco, la colonna sonora.


Alla presentazione di ieri al Cinema Farnese di Campo de' Fiori (luogo di culto per il pensiero controcorrente), accanto a Daniele (sempre brillante oratore, benché evidentemente emozionato), c'era Alessandro Mannarino (presente in una colonna sonora di pregio che vanta artisti anche come Daniele Sepe), un cantautore che confesso di aver sempre ponderato a distanza.
Ebbene, alla presentazione Mannarinoè intervenuto brevemente ma con due stoccate precise e vincenti: l'arte non deve educare, deve suggestionare (dall'origine latina di "suggerire"); in un mondo governato da pazzi che stanno distruggendo il mondo per un profitto immediato, questo è un film importante.


Daniele ha raccontato l'impatto con un medium come il cinema e la sua unica fascinazione, ovvero il fatto che tra l'idea e la realizzazione esso imponga anni e anni di passaggio fino a che la realtà dell'opera s'impone rispetto all'idea originale, ha descritto i quattro anni di lavoro, lunghissimi e rocamboleschi, i cambiamenti incessanti, anni di drammi economici, di incontri smarriti e ritrovati, di continua revisione dei propri fallimenti (grande lezione acquisita da I Villani) e (per rispondere a una domanda precisa sul valore politico del film) di come esso sia uno schiaffo in faccia alla Sinistra degli ultimi sessant'anni, che ha completamente abbandonato quel popolo.


Noi siamo usciti commossi dall'abbraccio di un amico che ha realizzato un suo sogno folle e necessario.
E ancora di più da una dedica al termine del film che onora me e la memoria di una donna eccezionale che tanto amava gli spettacoli festosi e ribelli di Don Pasta.

Il film è in sala nei seguenti cinema:
Fino al 18 Novembre - Roma - Cinema Farnese, 
16 novembre - Napoli - Cinema Astra
17 novembre - Mantova - Festivaletteratura - Mignon cinema d'essai 
18 novembre - Rovereto - Tutti Nello Stesso Piatto Festival Internazionale di Cinema Cibo
20 novembre - Bologna - Cinema Odeon
21 novembre - Firenze - Fondazione Stensen
23 novembre - Milano - Cinema Mexico
29 novembre - Vicenza - Araceli Cinema di Città
30 novembre - Udine - Cinema Visionario
2 dicembre - Broni (PD) - Cine Teatro Carbone
3 dicembre - Torino - Distretto cinema
4 dicembre - Cremona - CineChaplin
11 dicembre - Bergamo - Cinema Teatro Del Borgo
12 dicembre – Tolentino –  Politeama
13 dicembre – Viterbo – Cinema Trento
16 dicembre - Calimera - Cinema Elio
17 Dicembre - Lecce - DB D'Essai

Chiunque fosse interessato a farlo proiettare nella sua città, scrivesse a distribuzione@zalab.org

Fatelo.
 Ne vale veramente la pena.

Teho Teardo presenta A DICTIONARY OF SOUND




Oggi vi parliamo di un evento musicale di notevole rilevanza.
A Dictionary of Sound, primo ciclo di concerti promossi da Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.
Troviamo molto interessante che un'istituzione culturale promuova una rassegna di musica non convenzionale, mettendo a disposizione gli spazi di viale Pasubio a Milano

Per noi è garanzia l'aver indicato come curatore un musicista colto e sensibile come Teho Teardo.
L'artista friulano non è certo nuovo a sperimentazioni impreviste e collaborazioni spiazzanti: l'esplorazione di nuovi sentieri musicali è forse la cifra distintiva della sua ricerca.
Noto (e premiato) per le colonne sonore di film celebrati come Il Divo, L'amico di famiglia e La ragazza del lago, Teardo ha attraversato nella sua carriera progetti molto diversi, legati dal filo rosso della costante sperimentazione: pensiamo allo spettacolo dedicato al Viaggio al termine della notte di Louis Ferdinand Céline con Elio Germano, a Phantasmagorica con le illustrazioni in movimento di MP5 (ne parlammo QUI) o alla feconda collaborazione con Blixa Bargeld, leader storico degli Einstürzende Neubauten, negli album Still Smiling e Nerissimo.

L'iniziativa si articola in tre performance dal vivo.
Dopo la prima serata del 9 Novembre che ha visto protagonisti Jessica Moss e Eric Chenaux, domani sarà l'occasione per ascoltare il cantautore scozzese Gareth Dickson e il duo ambient acustico Pan-American.
Chiuderà la rassegna il 30 Novembre Robert Lippok, artista audiovisivo d'avanguardia della scena berlinese.



“Si cerca qualcosa di perfetto nella musica – dichiara Teho Teardo. "È ciò che di meglio si possa
immaginare, come una città ideale. La musica è una rivoluzione costante”.

                                         
Venerdì 9 novembre • ore 21.00 • Jessica MossEric Chenaux
Jessica Mossè parte integrante e attiva della scena musicale underground di Montreal. Violinista,
backing vocalist e co-autrice della cult-band Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra, co-
fondatrice di Black Ox Orkestar, vanta importanti collaborazioni con Carla Bozulich/Evangelista,
con il compianto Vic Chesnutt e più di recente con Jem Cohen e Guy Picciotto (Fugazi) nel progetto Gravity Hill.

Ecco come Teardo la descrive nella nostra intervista su Repubblica -XL (la trovate QUI):
"Jessica Moss. Una musicista del Canada che riesce ad intercettare alcuni elementi fondanti dell’identità musicale europea per restituirceli come se le appartenessero da sempre".



Eric Chenaux, chitarrista e compositore, nella sua discografia affronta la relazione tra struttura e
improvvisazione. Spazia dal folk più avventuroso a ballate jazz dolcemente stranianti, nelle quali
esplora le possibili interazioni tra una vocalità romantica e gli effetti sorprendenti della chitarra.

Nelle parole di Teardodell'intervista riportata:
"Eric Chenaux. Grazie al sarcasmo riesce ancora oggi ad attraversare il jazz senza doversene vergognare".




OGGI Venerdì 16 novembre • ore 21.00Gareth Dickson e Pan·American
Gareth Dickson, chitarrista e cantautore scozzese, spazia nei territori dell’ambient e dell’elettronica, trovando nuove possibilità per antichi strumenti.

Teardo lo descrive così:
"Gareth Dickson. Ha il senso dello spazio nelle sue canzoni. La sua scrittura è talmente ampia che pare abitare uno spazio cinematografico. Quando il cinema si accorgerà di lui sarà sempre troppo tardi".




Già collaboratore in studio e in tour di Juana Molina e più recentemente di Vashti Bunyan, è uno dei più apprezzati cantautori di nuova generazione.


Pan·Americanè il progetto solista di Mark Nelson, mente, chitarra e voce dei Labradford.
Partendo dalle possibilità del sampling, del dub e della techno, si è gradualmente indirizzato verso
l’ambient acustico in un flusso sonoro di spiccata ispirazione cinematografica, a cui accostarsi
attraverso i suoi video avvolgenti e malinconici. È colonna portante dell’etichetta Kranky, con cui
da sempre pubblica i suoi lavori.

Nelle parole di Teardo:
"Pan American. Mark Nelson pubblica album importanti dagli anni 90 con i Labdradford ed ora con Pan American. Ogni volta che passa in Italia non lo perderei".





Chiude la rassegna il prossimo Venerdì 30 novembre• ore 21.00 • Robert Lippok
Robert Lippok è un artista audiovisivo d’avanguardia, musicista e stage designer. Tastierista e co-
fondatore dei to rococo rot. Uno dei più influenti protagonisti della scena sperimentale ed
elettronica berlinese, è conosciuto per la sua ampia immaginazione ed inventiva ritmica. Nei suoi
live unisce l’aspetto compositivo e l’improvvisazione, portando il pubblico a fare delle esperienze
uniche e irripetibili. Applied Autonomyè il suo ultimo album pubblicato con la Raster - Noton.

Teardo:
"Robert Lippok. È una forza creativa della Berlino che non bivacca in coda al Berghain, ma reinventa costantemente il suono di quella città e, di conseguenza, anche di molte altre".



Un evento da non perdere per chiunque ami la musica non banale.


LE NINFEE DI MONET. Un incantesimo di acqua e luce




Secondo appuntamento con gli amici di #LettureMetropolitane.
Qui di sotto il nostro video.




Il 26, 27 e 28 Novembre al cinema sarà possibile vedere Le ninfee di Monet. Un incantesimo di acqua e luce, documentario dedicato in particolare agli ultimi anni della produzione di Claude Monet, dominati dall’ossessione del grande pittore, appunto per le ninfee.
L’evento si inserisce nella serie La Grande Arteal cinema di Nexo Digital.
Di Monet si è scritto moltissimo, dunque la necessità di un ulteriore approfondimento, dopo anche la recente mostra a Roma al Complesso del Vittoriano, è soprattutto nella possibilità di mostrare immagini inedite e sguardi originali sulla sua opera.
Al di là dello splendore delle tele, affascina e turba insieme la lotta incessante del pittore: nei confronti della sua amata Natura (nell'impossibilità di rendere l’incanto della sua perenne, cangiante bellezza) e nei confronti della sua stessa arte (più volte in accessi d’ira sfregiava o bruciava i suoi stessi quadri perché costantemente insoddisfatto).
Soprattutto, negli ultimi anni, nei confronti della vita stessa, considerando la serie tragica di colpi a lui inferti dal Destino che avrebbero devastato anche  gli animi più coriacei: due volte vedovo, il pittore perderà il suo primo figlio, perderà in gran parte la perfezione del suo giardino di Giverny (suo vero capolavoro sempiterno), perderà parzialmente la vista (proprio lui di cui Cézanne disse: “Non è che un occhio...ma che occhio!”).
Tutto questo, negli anni che condurranno la Francia alla sanguinosissima Prima Guerra Mondiale: protagonista il suo vecchio amico e protettore, il Primo Ministro Georges Clemenceau.
Più che sui primi anni del movimento impressionista, sulla famosa mostra del 1874 nello studio del fotografo Nadar da cui derivò il titolo del movimento in seguito a una miope stroncatura di Louis Leroy, il documentario si concentra sull’ultimo grande capolavoro di Monet, sollecitato proprio da Clemenceau dopo che l’artista aveva abbandonato la pittura per i problemi alla vista.
Un capolavoro donato allo Stato francese in seguito all’armistizio ma reso visibile al pubblico solo nel 1927, dopo la morte dell’artista: parliamo delle dodici grandi tele delle Ninfee esposte al Museo dell’Orangerie di Parigi, progettato e dedicato appositamente ad esse.
Disposte in due sale ovali, illuminate da Est a Ovest dalla luce solare per ricreare l’effetto naturale del giardino di Giverny, la grande sinfonia cromatica creata da Monet con i fiori prima che con i pennelli, queste opere maestose restituiscono lo stupore mistico di un autore che ha amato la Natura fino alla morte.
Anche in questo caso, la critica scioccamente non colse la potenza dell’esperienza straordinaria di immersione nell’opera che Monet aveva profeticamente inaugurato.
Ci vorrà la rivoluzione americana dell’Astrattismo, trent’anni dopo, con Pollock in testa, per donare giustizia all’ultima, impressionante fatica di Monet.
Il documentario, nonostante la bellezza delle immagini (pittoriche ma anche naturali) paga una presenza eccessivamente da protagonista di Elisa Lasowski (attrice francese apparsa in Game of Thrones e nel video Blackstardi David Bowie). Abbiamo apprezzato soprattutto gli interventi di Ross King, serio studioso autore del saggio Monet e la rivoluzione della pittura moderna.
Concludiamo con una citazione illuminante dal saggio sull’Impressionismo di Jean Leymarie del 1959: “L’infallibile precisione dell’occhio dà il senso della pienezza della visione. Monet ha confidato a un giovane pittore che avrebbe desiderato nascere cieco e recuperare all’improvviso la vista per non sapere nulla degli oggetti e trovarsi in uno stato vergine davanti alle apparenze, desiderio che serve a chiarire paradossalmente la sua estetica della sensazione”.

Maria Callas #IconeMetropolitane





In occasione dell'anniversario della nascita di Maria Callas, pubblichiamo il testo del video realizzato per #LettureMetropolitane come recensione del documentario Maria by Callas di Tom Volf.


"Maria by Callas", evento speciale fino al 18 Aprile, è un documentario, firmato da Tom Volf, di quasi due ore sulla vita della più venerata diva della lirica del Novecento.
Come sottolinea il titolo originale, nel documentario la Callas è narrata "dalle sue stesse parole".
La narrazione, infatti, è accompagnata da estratti di interviste, dichiarazioni pubbliche o confessioni private, lettere e memorie, in cui è la stessa diva  a commentare, evocare, raccontare le vicende straordinariamente drammatiche della sua esistenza,
Una narrazione che intreccia carriera e vita sentimentale.


Dagli esordi prima difficili e poi folgoranti ai trionfi alla Scala nel pieno degli anni '50, in cui avvenne la celebre perdita di 36 chili di peso, fino al celebre caso del ritiro dalla scena per afonia nel Gennaio del '58 a Roma, che tante polemiche e dolorosi strascichi provocò, dal matrimonio infelice con l'imprenditore Meneghini alla storia d'amore scandalosa e tormentata con l'armatore greco Onasiss, fino al breve e impossibile idillio poetico con Pier Paolo Pasolini, che la diresse in una memorabile versione cinematografica di "Medea".


Da adoranti ammiratori della Callas, avremmo potuto vedere altre dieci ore di documentario, lo rivedremmo tutti i giorni, per la grazia ipnotica della diva, per il carisma altero e primordiale della sua figura, per la meravigliosa fierezza della cantante, al contempo così irriducibilmente fragile: un incanto che strugge e commuove.


Tecnicamente, però. il documentario è forse sbilanciato sulla devozione tour court: non un cenno alla grande (e degnissima) rivale, Renata Tebaldi (che merita con il massimo rispetto di essere riscoperta dal grande pubblico) o a Giuseppe Di Stefano, che appare nelle immagini felici dell'ultimo tour mondiale.



Carmelo Bene (da Goffredo Fofi  definito la "Maria Callas del Teatro del Novecento"), che la divertiva denigrando il personaggio di Violetta ne"La Traviata" chiamandola "brutta", così splendidamente tributava il suo omaggio alla diva: "La voce dell'opera si è fermata con la Callas, una perfezionista, nel senso che perfezionava i suoi difetti, come tutti i geni. Trovare e cestinare. Di questo si tratta". 


Non possiamo che concludere ricordando le parole pressoché definitive di Franco Zeffirelli: "Quella voce ci affascinò come un sortilegio, un prodigio che non si poteva definire in alcun modo, la si poteva soltanto ascoltare come prigionieri di un incantesimo, di un turbamento mai esplorato prima. Ma non si può rendere appieno la tempesta di emozioni che suscitava in chi l'ascoltava per la prima volta. Perché Maria è un regalo di Dio che non si può definire nel tempo: Maria c'è sempre stata e ci sarà per sempre.".

RACCONTARE TUTTO (ma proprio tutto) CON GLI SCARABOCCHI DI MAICOL & MIRCO



Torniamo a parlare de Gli Scarabocchi di Maicol&mirco,la cui esegesi fluviale coincise con la genesi stessa di questo blog.
"Il fumetto meno cinico del mondo; un groppo in gola che si scioglie in risata; la stessa risata che si raggruma in groppo e ti si ferma in gola; una preghiera bianca travestita da bestemmia; il deposito non smaltibile della vita quotidiana; una manifestazione di omeopatia terminale; la coazione a ripetere di un titanismo aforistico; l’avanguardia estrema della lotta per l’emancipazione del disegno; un  amuleto gnostico per sopportare l’esistenza...
Questo e altro, ma, scendendo alla radice: un modo di guardare le cose, prima, e di disegnarle, poi. Questo libro spiega tutto.".
Così, con la consueta arguta lucidità, Alessio Trabacchini nell'introduzione a questo preziosissimo volumetto targato Slow News.


Qui si impone la prima pausa riflessiva: Slow News è uno dei progetti giornalistici più interessanti degli ultimi anni. Nato, nelle parole dei fautori, per reagire al "flusso di contenuti senza senso, un flusso che ci stordiva e non ci lasciava tempo di riflettere, di capire, di assorbire informazioni", Slow Newsè di fatto "una piattaforma totalmente priva di pubblicità, finanziata interamente dalla nostra comunità di lettori, fondata sulla vostra fiducia, capace di produrre un flusso d’informazione più gestibile. Un flusso composto di meno contenuti, ma fatti meglio, ma anche un lavoro centrato sul contatto reale, diretto e continuo con i nostri lettori, veri e propri membri di una comunità".



Per chi volesse approfondire, ECCO il sito.
Veniamo, dunque, al progetto attuale:
Per la prima volta nella storia de Gli Scarabocchi, "Maicol&Mirco svela la ricetta delle sue creazioni e, in 64 pagine disegnate in nero su carta rossa, confessa tutti i trucchi del mestiere, aprendo il suo laboratorio e dandoti la possibilità di raccontare tutto, ma proprio tutto, con lo sguardo cinico e poetico che da sempre lo caratterizza".


Seconda pausa di riflessione: funziona, tutto sommato, come PRIMA O MAI ("il metodo di vendita più ricattatorio del web"), con cui già Maicol&mirco lanciarono il piccolo capolavoro Il suicidio spiegato a mio figlio.



Quindi, funziona così: si può prenotare QUI fino al 31 dicembre il libro in prevendita, al costo di 9,90 € e un abbonamento incluso per 3 mesi a Flow, la newsletter di Slow News che esce 2 volte alla settimana.
 L'aspetto divertente è che la prevendita durerà fino al 31 dicembre. Si stamperanno solo e soltanto le copie prenotate in prevendita.
Dunque, se non si prenota entro il 31 dicembre 2018, non si potrà MAI PIÙ (come nell'anatema di Zequila) acquistare il libro.

E sarebbe davvero un peccato imperdonabile, perché in questo libro come mai prima (o, per l'appunto, mai più) Maicol&mirco non solo rivela i trucchi del suo mestiere, ma (più importante) ci consente di vedere la realtà attraverso il suo stesso sguardo.
Che poi sarebbe quello di Dio.
O meglio, quello di Dio filtrato da Maicol&mirco.
Come nel libro gli spiega bene Einstein.

Non sto scherzando: nel fumetto Albert Einstein (o meglio la formula che lo rappresenta) in tre vignette spiega il concetto di noumeno kantiano e di Vorstellung schopenhaueriana.

Perché, come spiegato nelle puntuali note redazionali di questa edizione, "Il mondo è pieno di crepe, di anelli che non tengono, di squarci che lasciano intravedere abissi vertiginosi. Ad accorgersene per primi sono i bambini poi, subito dopo, ci arriva Maicol & Mirco che con i suoi Scarabocchi blocca quelle crepe in un'intuizione, in un gesto di sintesi perfetto di inchiostro nero su carta rossa".

Poi, quando parlo di Maicol&mirco in termini di Filosofia e Fumetto ditemi che esagero, eh!


Non posso che, per l'ennesima volta, autocitarmi mentre mi autocito a mia volta nella prefazione al primo volume di ARGH!- Opera Omnia: "Perdonate, dunque, la vanità di riproporre alcune delle definizioni che ho tentato negli anni per rendere al lettore la loro ardente genialità :"“Gli Scarabocchi sono lo sputo dell'intelligenza incattivita sul volto ipocrita d'esistenza incomprensibile”. O ancora, “Sembrano un Tractatus Logicus-Philosophicus scritto da un bambino, appena resosi conto dell’inferno che è la realtà senza illuminazione.”, chiosando “A quanto pare, per mostrare i buchi del pensiero occidentale c’è voluto un vignettista oltraggioso.”."


Scusate la ridondanza di virgolette e il gioco di specchi di citazioni: tanto leggendo Gli Scarabocchi impariamo tutti la vanità dell'ego e del linguaggio.

Raccolta fondi per Vincenza, in memoria di Roberto



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Ritratto di Roberto realizzato da LRNZ


Care lettrici, cari lettori,
quattro anni fa vi avevamo parlato di un film commovente QUI, del quale avevamo parlato anche con uno degli autori QUI.

Parliamo di The Dark Side of the Sun, per cui LRNZ aveva curato la parte di animazione, un documentario che ha per protagonisti i bambini affetti da una rarissima malattia.

Oggi sul suo profilo Facebook, LRNZ ha postato questo annuncio:

"Qualche anno fa vi ho raccontato in un film (The dark side of the sun (the movie)) di una malattia rara, lo xeroderma pigmentoso (XP). E' una malattia ancora incurabile, colpisce pochissime persone, circa una su un milione, e le costringe a vivere lontani dalla luce del sole: i raggi UV, infatti, provocano una proliferazione di melanomi con un incidenza di 10.000 volte superiore a una persona sana, dato che rende l'XP una malattia estremamente pericolosa, in grado di ridurre considerevolmente l'aspettativa di vita. E' solo tramite enormi sforzi individuali e della famiglia che un ragazzo malato di XP può sperare di superare i 20 anni di età. In questi anni, dopo aver realizzato il film assieme a Carlo Hintermann, ho conosciuto una persona incredibile. Si chiama Vincenza Guzzo. Vincenza fa la postina a Milano e ha tre figli. Uno di loro, Roberto, è nato con l'XP. Vincenza ha passato 28 anni della sua vita cercando di dare la vita migliore possibile a suo figlio, divisa fra fra ospedali, programmi televisivi, redazioni di quotidiani, appelli, associazioni e manifestazioni in cerca di una possibile soluzione. Dopo un lungo periodo di drastico peggioramento in cui Vincenza e sua figlia hanno dovuto smettere di lavorare per stare vicine a Roberto che versava in condizioni sempre più difficili da gestire, la malattia glielo ha portato via. Oggi la famiglia di Vincenza prova a ripartire da un lutto, una tappa dolorosissima di un percorso fatto di amore e dedizione assoluta contro ogni avversità e con questa raccolta fondi provo a aiutarli per coprire per lo meno le spese ingenti che la fase finale della malattia e le esequie hanno imposto, per farli sentire amati almeno per un giorno quanto hanno amato Roberto ogni giorno della sua difficile vita".

Sottoscriviamo l'invito di LRNZ e vi invitiamo con tutto il cuore a partecipare a questa raccolta.


QUESTOè il link per effettuare la donazione.

Grazie.

Il "Faust" di Pessoa - l'abisso della ricerca




Il Faust di Fernando Pessoaè un compendio poetico pressoché definitivo della sua weltanschaaung, un tributo all'inquietudine come condizione ontologica, di cui le celebri ultime parole dello scrittore (dette in inglese, sua lingua d'adozione, "I know not what tomorrow will bring...") appaiono come l'epitaffio definitivo.
Opera incompiuta, pubblicata post mortem, questa versione del Faust appare come una summa vertiginosa di temi eminentemente novecenteschi: l'inquietudine, l'incomunicabilità, lo smarrimento delle coordinate etiche e morali, il fallimento della religione, le tenebre della morte di Dio. Questo a conferma della sensibilità profetica di Pessoa, dacché la prima versione del testo risale al 1908 (anche se poi sarà ossessivamente riscritto per tutta la vita).
Un'opera in cui accenti leopardiani e elevazioni baudelairiane si alternano nella visione di un ricercatore scisso, un iniziato che ha perso la fede negli stessi Misteri a lui rivelati.

Significativi questi versi risuonanti all'inizio:

" Ah, tutto è simbolo e analogia!
Ti vento che passa, la notte che rinfresca
sono tutt'altro che la notte e il vento:
ombre di vita e di pensiero.

Tutto ciò che vediamo è qualcos'altro.
L'ampia marea, la marea ansiosa,
è l'eco di un'altra marea che sta
laddove è reale il mondo che esiste.

Tutto ciò che abbiamo è dimenticanza.
La notte fredda, il passare del vento
sono ombre di mani i cui gesti sono
l'illusione madre di questa illusione.


Tutto trascende tutto
ed è più e meno reale di quello che è"

Così medita Faust nel suo studio.
In una rivisitazione post-nietzscheana del poema di Goethe (omaggiato nel testo, come d'uopo) e del mito medievale.
Un testo che vi invitiamo a leggere e rileggere.

Arriviamo alla messa in scena (proposta il 4 Dicembre al Teatro di Villa Torlonia e riproposta domani 6 Dicembre a quello di Tor Bella Monaca).


Innanzitutto, perdonatemi, due note tecniche: il teatro (terminato nel 1874) è un gioiello di fusione di stili, dal neoclassico al gotico, dal moresco al rinascimentale.
Però, per godere appieno dell'atmosfera e dell'acustica, sono necessarie due misure urgenti: il taglio della mano destra (sinistra, in caso di mancini) al proprietario di un cellulare acceso alla seconda notifica squillante durante lo spettacolo; delle due, l'una: o si cambia il pavimento in legno, o si consente al gentile personale in sala di non indossare i tacchi durante il servizio di lavoro.

Ora possiamo parlare dello spettacolo.
Partiamo dall'idea: Maria Inversi ha un curriculum di straordinario interesse, avendo portato in scena le più alte voci, spesso femminili, del Novecento, da Simone Weil (raccontata da Ingeborg Bachmann) a Maria Zambrano, da Etty Hillesum a Sylvia Plath, addirittura ha affrontato un tema a noi preziosissimo come la riscrittura dell'archetipo in Medea (certo, ha portato in scena anche un testo di Ludovica Ripa di Meana, ma nonostante questo la media rimane alta).

Dunque, complimenti per le letture, l'impegno, lo sforzo di divulgazione.

Sullo spettacolo in sé, comincian le dolenti note.
L'idea è corretta: leggere in scena l'opera, ritmata dalla musica più vicina a Pessoa (la fisarmonica venata di suggestioni orientali del compositore Marcello Fiorini, le sperimentazioni al contrabbasso di Mauro Tedesco, l'incanto improvviso della voce di Oona Rea).
Il problema è uno solo: COME leggere.

Non si può leggere un testo abissale come il Faust di Pessoa con un tono da comizio, con una scansione didascalica e quasi da prete di periferia.
Ci vorrebbe davvero il Carmelo Bene dei Canti Orfici.
Ma basterebbe anche il meno sublime ma impeccabile Vittorio Sermonti de La Divina Commedia.

Non amo stroncare i giovani artisti, credo che vadano sempre incoraggiati, ma anche consigliati: la sfida è difficilissima, avrebbero fallito anche attori di maggior prestigio.
Proprio per questo bisogna affrontare con misura e discernimento la scalata a certe altezze.
Se si cade dall'alto, logicamente, ci si fa più male.

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Maria Inversi

Delle voci recitanti in scena, solo la stessa regista Maria Inversi e Rita Pasqualoni affrontano i versi col giusto pudore e rispetto.
Vorremmo risentire lo spettacolo letto solo da loro.

In conclusione, un plauso per la scelta, il coraggio e l'ottimo lavoro di divulgazione, ma ci rimane l'amara sensazione che la Forza della Parola (se recitata) viene indebolita e non aumentata se la voce che la diffonde ne viene travolta.



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